Recensione di Joe Vanni
Il tema della vendetta, intesa come nemesi, o come personificazione della giustizia punitrice tout court, caratterizza il romanzo poliziesco, a tratti con sfumature da noir, della giovane e produttiva scrittrice.
La trama si dipana tra un inizio quasi epistolare, che accenna al mistero e poi si chiarifica velocemente in uno spietato reato, la pedofilia, e un mondo di loschi individui che caratterizzano i meandri di molte città moderne, le periferie del Male, che ingurgitano mostri e uomini normali, rendendoli un amalgama difficilmente scindibile.
Ma nonostante la contiguità narrativa obblighi questi personaggi a vivere e a interagire gli uni accanto agli altri, la differenziazione caratteriale ed esistenziale dei personaggi è subito chiara e netta: i Buoni e i Cattivi.
Il Bene e il Male nel romanzo, nella visione caratteristica, ferma, imprescindibile e granitica di tipo manicheo, sono elementi inconciliabili, espressamente inconfondibili. Tutto è semplicemente Luce o terribilmente Tenebra, e il Bello e il Brutto da espressioni astratte divengono oggetti tangibili e marmorei, come appare fin troppo chiaramente anche dall’inizio, persino dal carattere usato dall’autrice, che colpisce il lettore per la sua armonia e ricercatezza; nonché dallo stile fluido e armonioso, aggraziato da una perfezione descrittiva raffinata, che non si rivela mai noiosa e pedantesca. Uno stile che sembra lo slancio di un magnifico cavallo in una prateria assolata di luce.
L’elaborazione sintattica è frutto di un perfezionismo pregiato, volto a scendere principalmente all’interno dei caratteri di ciascuna personalità, al fine di dettagliarne i pregi e i difetti, rendendola incontrovertibile nella sua particolarità esistenziale all’interno dell’opera.
L’autrice non s’immedesima mai coi suoi protagonisti, tuttavia vi si accosta quasi come un’ombra, come a voler rasentare il contatto e la compenetrazione con le varie esistenze create dalla sua fervida immaginazione. Quasi a voler indicare e sottolineare il distacco da elementi già conosciuti, o probabilmente vissuti, in una sorta di impassibilità proprio di colui che osserva dall’alto una prova già superata e ammaestrata.
Il controllo emozionale non è facile quando si indaga e si scandaglia esistenze nefaste e disgraziate, poiché il rischio dell’insensibilità, o, peggio, della commiserazione, è sempre in agguato, potendo far scadere lo scritto ad un ridicolo sfogo mediocre. E invece, l’autrice è abile a districarsi tra la catarsi impercettibile e la punizione auspicata come elemento veramente liberatorio.