Quando, per decreto di potenze superiori, il Poeta appare in questo mondo di noia, sua madre spaventata e bestemmiando stringe i pugni a Dio che ne ha pietà: ʻAvessi partorito un groviglio di vipere, piuttosto che nutrire questa derisione!
Maledetta la notte degli effimeri piaceri quando il mio ventre concepì questa espiazione! Poiché mi hai scelta fra tutte le donne per disgusto del mio triste marito e non posso gettare questo aborto di natura, come un biglietto dʼamore tra le fiamme, farò rimbalzare il tuo odio che mi opprime sullo strumento maledetto delle tue malvagità, e torcerò a tal punto questʼalbero spregevole che non potrà più germogliare la sua peste!”
Così inghiotte la schiuma del suo odio e lei, che non comprende i disegni eterni, lei stessa prepara in fondo alla Geenna i roghi consacrati ai crimini materni.
Pure, sotto la tutela invisibile dʼun Angelo, sʼinebria di sole quel Figlio ripudiato, e in tutto ciò che beve e mangia ritrova lʼambrosia e il nettare vermiglio.
Gioca col vento, parla con le nuvole, e cantando sʼinebria del calvario; e lo Spirito, che lo segue in quel pellegrinaggio, piange nel vederlo gaio come uccel di bosco.
Lʼosservano con timore quelli che vuole amare, oppure, arditi per la sua tranquillità, si divertono a strappargli un lamento e provano la loro ferocia su di lui.
Mischiano cenere e impuri sputi nel pane e nel vino destinati alla sua bocca, buttano con ipocrisia ciò che egli tocca, e si accusano di aver messo i piedi sui suoi passi.
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