La mosca sui baffi

355

Non fu certamente facile trovare il coraggio di presentare il ragazzo del quale mi ero innamorata alla mia famiglia. E per famiglia intendo naturalmente soprattutto mio padre. Era sì noto per la sua giovialità e la battuta facile, ma anche per il temperamento impulsivo, che poteva anche trascendere nel caratteraccio. Specialmente se secondo lui qualche cosa poteva rappresentare una minaccia per noi figlie.
E non saper riconoscere quando era in buona, poteva essere una mancanza imperdonabile per chi avesse voluto entrare nelle sue grazie. Se una persona non gli aggradava fin dall’inizio, difficilmente cambiava idea.
Il mio principe azzurro ed io rimandammo finchè fu possibile. Fino a quando cioè non cominciammo ad essere interessante argomento di conversazione per le comari del posto. E la possibilità che arrivassero alle orecchie di mio padre chiacchiere sul mio conto, andava assolutamente scongiurata.

Dopo studi approfonditi su quale fosse il momento più adatto per fare le presentazioni, decidemmo di agire.

Individuammo il D-day in una domenica pomeriggio di ottobre.
Pensando al buon umore di mio padre quando tornava con il retino pieno, il mio ragazzo ed io pregammo chi Nettuno e chi Poseidone, tanto per non sbagliare, perché spingesse i pesci più corpulenti al suo amo.
Una buona pesca sarebbe stata sicuramente propizia al nostro incontro, ma anche il presentarsi nella maniera più vicina possibile ai canoni cui doveva rispondere il futuro genero del pescatore, aveva la sua grande importanza. Quindi il mio ragazzo arrivò tirato a lucido come non lo avevo mai visto e perfino con i capelli tagliati. Non di molto per la verità, ma apprezzai molto la cosa, che voleva sottolineare di solennità dell’evento.
Mentre ancora stava parcheggiando gli andai incontro con un sorriso poco convinto nell’intento di tranquillizzarlo. Volevo sapesse che qualsiasi cosa fosse successa, io ero al suo fianco.

Lui ricambiò, ma non mi sembrò essere in verità turbato più di tanto.

E la cosa era comprensibile. Io conoscevo mio padre, lui no.
Una volta sulla porta d’ingresso, ansiosa come non mai, presi un bel respiro e per mano con il mio ragazzo chiamai mio padre chiedendogli se poteva venire un attimo fuori. Fare le presentazioni all’aperto, dove c’era possibilità di fuga se le cose si mettevano male, mi sembrò la cosa più saggia.
Fu solo allora, non un minuto né un secondo prima di decidere di aprire bocca, che sentii la sua voce sovrapporsi alla mia e nel rumore di qualcosa che andava in frantumi mi sembrò di riconoscere una delle sue colorite bestemmie provenire dalla cucina dove stava armeggiando alle prese con un rubinetto rotto.
Ormai era fatta. Non si poteva tornare indietro. Anche perché mio padre, sudato e con la chiave inglese ancora in mano stava venendo verso di noi.

Guarda lui, poi me e infine esclama: “che volevi”?

Spiazzata da come si erano messe le cose, non era certo quello il modo in cui mi ero immaginata quel momento, non mi rimase che farfugliare qualche parola che poteva assomigliare ad una presentazione finché non mi venne in aiuto il mio ragazzo, che fece il resto.
Mio padre, a dire il vero poco sorpreso, evidentemente aveva già avuto qualche soffiata, con fare tranquillo disse che non aveva niente in contrario che ci frequentassimo e si congedò in maniera sibillina esclamando: “attenzione però, che sopra questi baffi non si è mai posata una mosca”.
Questo accadeva tanti anni fa, quando il costume imponeva questi rituali e comunque mio padre non ha mai avuto i baffi.


La mosca sui baffi

Articolo di Mimma Colasanti