Pedro Jaras e il regalo di Dio

1166

C’è un piccolo paese in Spagna, così piccolo che di esso non si ha quasi mai memoria nel ricordarlo sulle carte geografiche.

Quasi un puntino che s’intravede appena, dove dimorano pochissime anime, si vive di poche risorse, e di tanta, tanta buona volontà, quanta ne basta a sperare che tutto migliori.

E’ vicino al mare, vive del mare. Confida nel mare.

La vita vi scorre tranquilla, e tale sarebbe rimasta in tutto questo tempo s’io stesso non avessi udito con le mie orecchie di ciò che accadde ad alcuni pescatori e del fatto miracoloso che vi avvenne tanti anni or sono.

Ora è a te che lo racconto, Manuel, ed anche tu un giorno, so che lo racconterai.

 

*****     *****     *****

Le piccole lucciole danzarono ritualmente insieme ai moscerini, come in preda ad un valzer ubriaco tra la terra e gli alberi altissimi, quando Pedro salì in barca e la luna spuntò appena sul pelo dell’acqua, morbida e affilata.

Era una notte bellissima, da lasciare storditi, di quelle con un cielo di cartapesta e salsedine alle narici. Due delfini erano  gli unici compagni di quel viaggio notturno, incredibilmente fuori rotta.

Sarebbe bastato seguire la corrente ed essa li avrebbe condotto a casa, ma quella notte avevano deciso di cambiare strada ed andare dove non erano mai stati, come quell’uomo che avevano incontrato lungo il loro cammino.

Pedro decise istintivamente di incrociare la loro scia silenziosa, fin quando fossero vicini tanto da distendere la mano e carezzare il loro dorso vellutato; sfiorarono la barca a loro volta in segno amichevole, poi virarono lentamente in mare aperto, muti e aggraziati.

Il giovane pescatore proseguiva intanto verso il vecchio faro, come aveva imparato: da lì avrebbe guardato le stelle per orientarsi e giungere nel luogo segreto di pesca che il vecchio Cujar gli aveva rivelato prima di morire.

I remi non sembravano più pesanti delle altre volte, non c’era fretta, c’era ancora tanto tempo, la notte era appena iniziata.

Il giovane pescatore procedeva lungo la sua rotta quasi da un’ora, quando vide finalmente il faro di San Juan de la Piedra giostrare ad intervalli regolari la sua luce spettrale.

Capì che era giunto il momento di dirigersi ad est, pochi minuti e sarebbe arrivato a destinazione.

La barca ondeggiò tra i flutti come sospinta da qualcosa, ma Pedro non vi fece caso, non era la prima volta che usciva in mare.

Giunto sul posto, prese le sue reti con cura, le gettò in acqua, e attese con pazienza una pesca sognata per giorni dagli abitanti del suo povero villaggio, e soprattutto dalla sua numerosa famiglia.

Era passata poco più di un’ora. Pedro cominciava ad avvertire il freddo notturno sulla pelle, nonostante una generosa  brezza marina gli soffiasse tiepida sul viso.

Ma  soprattutto, quel che è peggio è che aveva fame, molta fame…

– Pedroooo, Pedroooo… hai preso niente? –

Ad un tratto una curiosa voce gracchiante provenne dall’oscurità.

A poco a poco prese forma dal buio la lunga barca di Ramirez, tanto affaccendato nell’isterica agitazione dei remi quanto vanitoso nei suoi baffi, lunghi e curati.

– Maledizione, sono in mare già da un po’ e  non ho trovato niente che potesse finire tra gli ami! Quei delfini stanno spaventando tutti i pesci; ho proprio l’impressione che tornerò a casa digiuno. Se mi passano davanti l’arpione io, io… mi sa che me li porto, quei maledetti!

Pedro gli sorrise, come si sorride ad un vecchio pescatore, così  iracondo fuori, e tuttavia così bonario nell’animo come pochi lo conoscevano.

–  Rilassati, sono soltanto delfini! –

–  Delfini un corno…Non mi hanno fatto prendere niente! Cosa pensi che dirà la mia

dolce e spietata Teresa? Ah, già l’immagino quella vecchia stridula, a rompermi la testa; con gli occhi di fuori e l’indice affilato sul mio naso, a rimproverarmi che non saprei pescare nemmeno se i pesci mi saltassero in barca … Maledetti, mia moglie e i delfini!–

Eh si, era proprio arrabbiato. In effetti, qualcosa di strano c’era, eccome.

Altri pescatori non molto distanti confermavano tra loro questa voce;  che due delfini venuti da chissà dove avessero preso a circumnavigare le piccole imbarcazioni allontanando ogni banco di pesci che disgraziatamente si fosse trovato nei paraggi, e che non c’era alcuna possibilità per quella notte, se non che di tornare a casa con la pancia e le mani vuote.

Che cosa potevano fare? Ovviamente, non rimaneva che la soluzione più drastica. Bisognava allontanare i delfini, o peggio per loro, ucciderli.

La speranza di prendere qualcosa da mettere sotto i denti andava assottigliandosi minuto per minuto, e ciò aveva indotto i marinai a prendere questa terribile decisione.

– Diavolo, Pedro, li senti gli altri… I fratelli Araňa, Josè, Miguelito…sono tutti impazziti.

Io non me la sento di… poco fa forse ho esagerato, ma ucciderli…loro ci accompagnano sempre, non fanno niente di male.

Insomma io non me la sento. Tu lo sai, i pescatori e i delfini da che mondo è mondo vanno sempre insieme, si fanno compagnia…Io non ammazzo delfini, neanche se mi pagano!

–  Lo so, lo so, sono d’accordo con te, amico mio, neanch’io riuscirei in una cattiveria del genere. Vedremo di trovare un’altra soluzione. Tu intanto parla con Felipe, lui è il più saggio di tutti, già si sarà trovato in una situazione del genere e saprà certamente cosa fare.

Nel frattempo un’onda anomala si era formata sotto la chiglia della barca di Ramirez. Un’onda non pericolosa, ma certamente strana. Pochi secondi dopo anche la barca di Miguelito, che frattanto si era avvicinata, aveva fatto lo stesso inquietante sobbalzo sull’acqua, come se qualcuno o qualcosa di enorme danzasse elegante.

Si, non poteva essere altro. Lì sotto c’era qualcosa di enorme.

I cinque fratelli Araňa furono i primi ad accorgersi di cosa fosse.

Un gigantesco squalo bianco aveva deciso finalmente di mostrare la sua immensa pinna dorsale, una lama affilata che traversava come il burro quel breve tratto d’acqua che separava le barche di Ramirez e dei fratelli Araňa.

In quel momento tutti capirono cos’ era accaduto.

I due delfini si erano avvicinati soltanto per trovare riparo presso i loro più antichi compagni di viaggi e per tentare di avvisarli del pericolo.

Adesso lo sapevano, non erano colpevoli di nulla.

Ramirez, Pedro e gli altri pescatori si guardarono. Poi guardarono i delfini, ed entrambi ricambiarono con il loro meraviglioso sguardo azzurro, così umano da lasciare sgomenti.

Chiedevano aiuto.

I loro occhi erano impauriti e al tempo stesso confidanti nell’aiuto dell’uomo.

L’enorme squalo in preda alla fame sferrò un attacco alla barca dei fratelli Araňa, sbriciolando una parte della prua, poi si diresse verso la barca del vecchio Ramirez, che guardava terrorizzato, mordendo ancora.

La barca sembrava colare a picco, e con essa il povero Ramirez, che sentiva la morte ad un passo.

In quel mentre, i due delfini fecero da scudo alla barca, senza temere l’attacco, lasciando tutti gli uomini senza parole.

Avevano scelto il sacrificio, avevano scelto di aiutare il loro migliore amico, senza pensarci due volte.

In quel momento, in quel preciso momento, Pedro Jaras decise d’intervenire, e gridò ai compagni con tutto il fiato che aveva in gola, esortandoli a tirar fuori il coraggio che Dio in quell’istante aveva deciso di regalargli.

I fratelli Araňa, Felipe, Miguelito e gli altri pescatori sembrarono ridestarsi da un torpore, e tutti insieme si scagliarono in una lotta terribile contro l’immenso nemico.

Pedro colpì con il suo arpione, e colpì, colpì fino all’inverosimile, e così anche gli altri, fin quando il mare intorno fu solo di sangue.

Si fermarono tutti. Il mare non ribolliva più. Lo squalo affiorò misero sulla pancia, incredibilmente squarciata. Un silenzio irreale accompagnava la sua morte.

Pedro non riusciva a crederci. Ce l’avevano fatta, avevano vinto.

Guardò i compagni, bianchi di paura, che respiravano a fatica, ancora ansimanti di lotta. Erano tutti increduli.

Poi lo sguardo si rivolse a cercare il vecchio Ramirez, che seduto sulle ginocchia carezzava l’acqua, piangendo come un bambino.

I delfini erano feriti. I denti dello squalo erano affondati nelle loro carni, e non c’era più nulla da fare. Adesso morivano l’uno accanto all’altro, così come avevano vissuto sempre insieme.

I marinai si tolsero il cappello, in segno di rispetto.

Conoscono bene l’addio: esso è presente nel loro cuore quando lasciano i porti e le case, nel timore di non farvi più ritorno. Anche questo era un addio, ma diverso da tutti gli altri.

Era l’addio a chi per loro è il più grande amico in mare, a chi è il conforto naturale lungo le rotte più lontane ed insicure.

L’addio a chi non ti lascia mai solo, a chi ti rende un canto che ha la voce così simile ai figli. L’addio a chi, notte e giorno, sembra sorrida sempre, soltanto per te.

Tutti erano commossi. Nonostante l’aspetto rude, anche gli Araňa mostravano gli occhi lucidi, quasi che a soffrire fosse uno dei loro fratelli.

Pedro avvicinò la sua barca. Ramirez singhiozzava.

–       Mi dispiace per quello che ho detto prima…non volevo…

–       Lascia stare, Ramirez, non importa. Sanno che sei loro amico.

In quel momento a Ramirez poco importava delle parole di Pedro, e pregava, pregava come non aveva mai fatto in vita sua. Anche gli altri pescatori pregavano come non avevano mai fatto. Pedro, lui che non pregava mai…Anche lui pregava.

Noi uomini, poveri uomini,  siamo così piccoli e lontani da ogni verità e dagli infiniti piani di Dio, tanto da non comprendere che la perdita di qualcosa corrisponde sempre in qualche modo al regalo di un’altra.

I corpi lacerati dello squalo e dei delfini avevano attirato un incredibile banco di pesci, talmente grande  che nemmeno il vecchio Ramirez aveva mai visto in tutta la sua esistenza.

Gli uomini intuirono il regalo che Dio attraverso i delfini aveva loro donato, e gettarono le reti in mare, ringraziando con un segno di croce.

All’alba le barche di Pedro, Josè, Miguelito, Ramirez e dei fratelli Araňa  erano così piene come non si ricordava a memoria d’uomo.

Finalmente avrebbero avuto di che  sfamare le loro famiglie.

Al ritorno, come gli altri Pedro si è addormentato d’un sonno profondo, dovuto, nella sua amata casa.

Dormiva così intensamente da non accorgersi che il suo piccolo Manuel gli sfiorava teneramente le  palpebre, cercando d’immaginare cosa stesse sognando.

Adesso tuo padre ti direbbe una storia, Manuel, la più bella storia che hai mai ascoltato.

La storia di una meravigliosa amicizia, che lega da sempre, da quand’è il mondo, l’uomo e il delfino.

(A Dio, e alla grandezza dei suoi piani)

25 COMMENTS

  1. Un inizio tiepido, apparentemente tipico di tanti altri racconti, che, in un susseguirsi di sfumature travolge il lettore fino a farlo sentire all’interno del racconto stesso, provando le stesse emozioni dei protagonisti.

  2. Breve e di facile lettura l’autore ha saputo ben calibrare le due cose. Sicuramente una triste ma bella “favola”. Ci insegna qualcosa di diverso, soprattutto che la pesca che non è fine a se stessa ossìa per un capriccio ma per alimentarsi e che l’uomo continua ad essere amico degli animali. Salienti i seguenti passi: “I delfini erano feriti. I denti dello squalo erano affondati nelle loro carni, e non c’era più nulla da fare. Adesso morivano l’uno accanto all’altro, così come avevano vissuto sempre insieme” e “Noi uomini, poveri uomini, siamo così piccoli e lontani da ogni verità e dagli infiniti piani di Dio, tanto da non comprendere che la perdita di qualcosa corrisponde sempre in qualche modo al regalo di un’altra”. La storia di una meravigliosa amicizia che lega da sempre, da quand’è il mondo, l’uomo e il delfino. Bravo all’autore che merita di essere letto e di andare avanti oltre questo meraviglioso racconto che ci regala una preziosa lezione di amore

  3. Conosco la sensibilità e l’abilità letteraria di Antonio e anche stavolta non si è smentito! Ho sentito addosso l’odore della della salsedine, l’umidità, il terrore, la fame…
    “Dormiva così intensamente da non accorgersi che il suo piccolo Manuel gli sfiorava teneramente le palpebre, cercando d’immaginare cosa stesse sognando.” Vi ho letto un tratto autobiografico. Unica la tua capacità di connetterti con una dimensione che va al di là della materia e della lettera!
    Complimenti davvero!

  4. Racconto avvincente con una morale molto forte e significativa, coinvolgente nella narrazione e scorrevole nella trama lascia un emozione interiore che fa riflettere su uno dei tanti valori perduti l’amicizia quella vera. Complimenti-

  5. Questo racconto ha un’incipit a dir poco geniale, proseguendo ti trasmette l’adrenalina dei personaggi tutti, il tema dell’amicizia incondizionata, dell’abbandono, della tristezza e della famiglia sono tutti racchiusi in queste righe che solo un vero scrittore può sintetizzare con questo coinvolgimento spirituale. Touchè, Antonio Blunda!!

  6. BELLISSIMO RACCONTO ,EMOZIONANTE,LO LETTO TUTTO D’UN FIATO,MI SEMBRAVA DI ESSERE SULLA BARCA E VIVERE LE LORO STESSE EMOZIONI,SI CAPISCE BENE L’ANIMO POETICO E BUONO DELLO SCRITTORE,DA CONSIGLIARE DAVVERO A TUTTI,DAVVERO BELLO.

  7. La lettura di questo racconto, mi ha dato la sensazione di trovarmi a diretto contatto con il mare e i suoi pescatori. Riuscendo a farmi sfiorare, l’essenza più intima del poeta. Eccellente, Complimenti!!! da 1 a 10 per me è sicuramente 10.