Benedizione, parte seconda

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Charles Baudelaire

Grida sulla pubblica piazza la sua donna:
“Mi trova tanto bella da adorarmi,
per cui farò il mestiere degli antichi idoli,
diventerò dʼoro come quelli un tempo;
mʼubriacherò di nardo, incenso e mirra,
di genuflessioni, di carni e di vini,
per sapere se posso usurpare, tra le risa,
gli omaggi divini dʼun cuore che mʼammira!

E quando mʼannoierò dellʼempia farsa,
poserò la mano esile e forte su di lui;
le mie unghie, come unghie delle arpie,
sapranno aprirsi un varco nel suo cuore!
Come un tremulo uccellino palpitante,
gli strapperò dal petto il cuore rosso
e, per saziare la mia bestia favorita,
lo getterò per terra con disprezzo!”.

Sereno il poeta alza le braccia al Cielo,
dove il suo occhio vede un trono splendido
e i vasti lampi del suo spirito lucido
gli celano la vista di popoli furiosi:
“Benedetto Dio, che doni sofferenza
come divino rimedio alle nostra impurità
e come migliore e più pura essenza
per disporre i forti alle sante voluttà!

Lo so che al poeta tu conservi un posto
tra le schiere beate delle legioni sante,
e che lʼinviti a quella festa eterna
di Troni, Virtù e Dominazioni.
Lo so che il dolore è la sola nobiltà
che mai terra o inferno morderanno,
e che occorrono tutti i tempi e gli universi
per intrecciare la mia mistica corona.

Ma non basterebbero le perdute gioie
dellʼantica Palmira, i metalli ignoti,
le perle del mare della tua mano incastonati
per quel bel diadema chiaro e sfolgorante;
perché sarà fatto di sola luce pura,
attinta al fuoco santo dei raggi primitivi
e al confronto occhi mortali di massimo splendore
non sono altro che piangenti e oscuri specchi!”.

da ʻBenedizioneʼ
raccolta ʻI Fiori del Maleʼ
di Charles Baudelaire