Il conte Vaniglio

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Il conte Vaniglio era stato in passato una persona davvero eclettica. Vissuto nell’agiatezza tipica delle famiglie nobiliari, aveva ricevuto un’istruzione privata di tutto rispetto e nel sontuoso castello dove risiedeva vi era sempre un continuo via vai di gente illuminata, pronta a condividere con lui la propria conoscenza. Grandi mentori venivano anche da molto lontano per donargli arti, saperi, nozioni politiche, dritte supreme e questo ovviamente lo avevano reso sin da giovanissimo una personcina davvero acculturata. Senza contare tutte quelle abilità nel combattimento che aveva sviluppato e che lo avevano trasformato in una macchina da guerra di tutto rispetto.

Con la sua piccola spada tagliava, tranciava, affettava con una facilità disarmante e ben presto riuscì a metter a frutto questa sua qualità in maniera costruttiva. Perché tagliarsi le unghie con una katana era molto stiloso ma un pochino limitante. Vaniglio era diventato, già in adolescenza, un grandioso cacciatore di draghi. Questa sua capacità, che gli aveva donato fama in tutto il regno, non lo aveva però mai reso troppo felice. Sì, di soddisfazioni in quel campo se ne era prese parecchie e il suo curriculum era davvero ciccione ma la sua vera passione era un’altra. Il conte Vaniglio voleva diventare uno scrittore affermato. Per molti anni aveva tentato, quasi segretamente (per non minare troppo l’immagine virile che si stava creando), di inserirsi in un mondo letterario che aveva sempre ammirato.

Nelle sue scrivanie vi si potevano trovare poemi epici, racconti fantastici, poesie, storie brevi e diari di viaggio scritti da lui,ma che mai avevano avuto fortuna alcuna. O quasi.

Solo una volta, intorno ai vent’anni, aveva raggiunto il suo momento di gloria letterario. Una serie di libri per ragazzi giunti alla quarta edizione che per breve tempo divenne fenomeno di massa tra i più giovani. Ma per lui non contava troppo. Per quei libri aveva preso semplicemente dei grandi classici del passato e li aveva riscritti da capo, sbagliandone volutamente i congiuntivi.

Un’idea rivoluzionaria, geniale, visionaria. Nonostante tutti questi aggettivi non si sentiva però assolutamente realizzato. Voleva scrivere qualcosa di originale, di veramente suo. Ma non un semplice libro, il suo desiderio era quello di scrivere il romanzo definitivo! Un qualcosa di talmente bello e raffinato da stupire chiunque lo avesse avuto fra le mani e capace di donargli la gloria imperitura. E una cosa del genere l’aveva pure iniziata a scrivere, un romanzo storico, destinato però ad un proseguo travagliato ed incerto. Con il passare del tempo infatti, stavano per sopraggiungere per il conte Vaniglio tutti quegli impegni che la società impone a chi diventa adulto:la famiglia, i possedimenti ereditati da gestire, le mille preoccupazioni della vita e questo mal si concilia con i sogni adolescenziali e le ambizioni personali.

Così, senza neanche accorgersene, Vaniglio compì quarant’anni, non riuscendo però a prendere troppo coscienza del suo essere imborghesito, ingrassato e senza più voglia di divertirsi. Una fredda sera invernale il conte, assieme alla moglie Elvira, si trovò a cena con un suo caro amico, il duca Massini, compagno di tante avventure in giovane età. Parlarono di affari e di molte cose noiose con fare vagamente nostalgico fino a quando, a un certo punto, l’ospite chiese informazioni su quel romanzo storico di cui ormai da tanti anni non sentiva più parlare. – Come procede la sua grande opera? – Eh…caro duca, è un periodo difficile. Non ho scritto che dieci pagine. Non riesco proprio ad andare avanti. – Oh,caro conte. Mi dispiace. Da quanto ha questo suo blocco dello scrittore? – Non saprei, ma ormai si parla di tanti anni. Dovrei concentrarmi di più ma non mi vengono in mente idee sensate. Qualche suggerimento? – Riscriva il curriculum.

Il duca a dire la verità non aveva molta stima artistica del suo interlocutore.

La cosa più sensata che gli avesse visto fare con la penna era stato un disegno osceno nel bagno di una locanda tanti anni prima e considerava ogni sua parola scritta un insulto a chiunque avesse finito la terza media. Nonostante questo al conte voleva bene. Inoltre, visto che gli stava offrendo tutte quelle beverie, non poteva far altro che assecondare il suo ego ed elogiare per quanto possibile le sue dubbie qualità artistiche. – Sa cosa,conte? Lei è molto bravo a scrivere – sospirò morendo un pochino dentro – potrebbe intanto impreziosire il suo lavoro con inutili e minuziose descrizioni. Ha mai letto un libro russo? – Non voglio descrizioni. Voglio avventure, idee fantastiche, nuovi stimoli… – Allora quello che deve fare è uscire e cercare l’ispirazione. Chiuso qua dentro non combinerà mai nulla.

Da quant’è che non vive qualche avventura? – Tutti quei draghi,quei combattimenti all’ultimo sangue. Eh… – sospirando non poco – ormai quei tempi sono finiti.

Comunque ha ragione! Dopo mangiato prendo la giacchina e mi faccio un giro. Ma bevvero così tanto che passarono il resto della settimana a dormire e vomitare, sempre comunque in maniera aristocratica. Una volta ripresosi, in giugno, il conte Vaniglio decise di riprendere in mano quel suo vecchio romanzo, in pieno stile revival, mettendo da parte ogni cosa e concentrandoci tutte le energie possibili. Chiuso nel suo studio e ricurvo su una scrivania piena di polvere, rimuginava in totale solitudine su quella che oramai era diventata una sfida personale. Come proseguire? Come cogliere qualche ispirazione folgorante? Come raggiungere la perfezione estetica da immortalare su carta? Ogni tanto cercava conforto in qualche libro erotico, giusto per non perdere quello spirito giovanile a cui tanto voleva ispirarsi, e sempre più spesso guardava oltre la finestra in cerca di stimoli.

Ma niente, purtroppo la sua creatività sembrava essere morta definitivamente.

Un giorno, mentre giocicchiava con della carta straccia, nella grande stanza entrò delicatamente la moglie Elvira. – Amore, stando qui seduto non riceverai nessuna idea. Ricordi cosa ti ha consigliato il duca prima di andare in coma etilico? Devi uscire e fare cose. Andare a teatro, camminare, vedere posti nuovi. Solo così riuscirai a superare i tuoi blocchi! – Hai ragione! – Urlò entusiasta il conte – Hai perfettamente ragione! E mentre finiva la frase si vestì al volo, diede un bacio alla sua amata e corse fuori dal castello, sgambettando come un bambino che rincorre una palla. Per tre giorni non ritornò. Il suo obiettivo era quello di condensare quante più esperienze nel minor tempo possibile. Era andato a vedere dei noiosissimi monologhi a teatro, aveva macinato chilometri in sella al suo fedele cavallo nero e, spacciandosi per un rinomato chirurgo,aveva impiantato quattro bypass a un giovane viandante.

E poi altre cose via via sempre più estreme. Fiumi di alcol, prostitute, LSD, cibo straniero.

Passati questi tre giorni tornò a casa distrutto, non prima però di essere passato in chiesa a chiedere perdono per aver messo la panna nella carbonara. Dormì tantissimo e, appena sveglio, tornò immediatamente davanti a quel suo manoscritto con ritrovata consapevolezza, nuove idee e nuove speranze. E con nuovi occhi, che per prima cosa fecero accorgere al conte quanto misero e breve fosse stato il suo lavoro fino a quel momento. Dieci pagine, di cui sei dove veniva descritto un gatto che beveva un brodo. – Accidenti! No, non ci siamo. Non ci siamo per niente. Iniziò immediatamente a scrivere di getto. Fiumi di pagine che riassumevano in maniera confusionaria, con personaggi assolutamente casuali e situazioni slegate tra loro, tutti gli input ricevuti nei giorni passati.

Dopo molte ore, la prima stesura era pronta.

Il risultato non fu proprio soddisfacente, anzi. Una volta riletta il conte Vaniglio si arrabbiò tantissimo con se stesso e gettò quel manoscritto a terra con veemenza. – Questa roba fa schifo, adesso basta! Forse era il caso di arrendersi, pensò, non ce la posso fare. Quei tre giorni là fuori non erano stati per niente d’aiuto. E andò a cercare conforto nel cibo visto che si era fatta ormai sera. Una volta seduto a tavola la cena, caratterizzata dal silenzio imbarazzante del conte svilito e depresso, fu interrotta dallo scudiero Alfio che entrò di corsa gridando al massimo delle forze. – Conte, contessa, scusate l’interruzione! Purtroppo è accaduto un fatto gravissimo!

La contessa, presagendo il peggio, si alzò di scatto. – Cosa è successo, Alfio? – Un drago, un attacco… – faticando molto a mantenere la calma – vostra figlia… – COSA?? – Gridarono entrambi. – Il drago dell’est è tornato nel regno e ha rapito vostra figlia. Ora la tiene prigioniera nella grotta dove vive. A est. Il Conte Vaniglio si alzò. – Ma è meraviglioso! – No, aspettate… – replicò basito lo scudiero – forse non avete capito! Vostra figlia è in pericolo! La contessa, in preda all’ira iniziò a chiamare tutte le guardie presenti nel castello, ma venne interrotta immediatamente dal marito. – No, ferma, non chiamare nessuno! È mia figlia e ci penserò da solo – cercando una posizione plastica ad effetto. – Ma caro! Sono anni che non combatti, non ce la puoi fare senza aiuto! – Abbi fede.

In passato di draghi ne ho uccisi parecchi. Sarà un bel modo di rivivere la mia gioventù.

Da solo sarò più veloce, di tempo ne abbiamo poco. Nostra figlia è in pericolo. – Vuoi scriverci un libro, vè? – Sì, mia amata. E sarà il libro d’avventure più bello di sempre! – Gridò brandendo al cielo la sua fidata forchetta. Il conte, dotato di spada, di un’armatura di due taglie più piccole, provviste, grandi quantità d’oro per ogni evenienza e taccuino, si avviò celere verso est in sella al suo fedele cavallo nero. Cavalcò impavido per giorni, sfidando il clima a volte ostile e vivendo ogni istante con esagerato fomento. Dopo tanto viaggiare, mentre il sole si apprestava a calare, si trovò a poche miglia dalla grotta di quel suo nuovo nemico e decise di fermarsi per riposare degnamente prima della grande battaglia. Aveva bisogno di ripristinare l’energia e di farsi una doccia. Restava pur sempre un nobile. Entrato in una locanda isolata prenotò una camera e poi si sedette per una leggera cena.

Almeno questa era la sua idea iniziale.

Si fece prendere la mano, tanti erano i giorni che non mangiava, e fece sparire da solo una famiglia intera di bovini, accompagnata amabilmente da una ventina di litri di birra. E subito dopo, vittima di tante preoccupazioni legate alla figlia e al suo manoscritto, ma anche di una cena un pochino pesante, tentò senza successo di appuntarsi dei dati riguardanti il suo viaggio. Crollò immediatamente, in fondo non era più un giovincello, ma non importava. Il tempo per scrivere se lo sarebbe concesso alla fine della grande avventura. FINALE La mattina successiva, il prode Vaniglio si preparò per ricominciare il suo viaggio. Raccolse tutte le sue cose,si lavò i denti e uscì dalla camera di buona lena per fare colazione. Carico e speranzoso, alla taverna ordinò un cappuccino per svegliarsi del tutto e iniziò frettolosamente a sorseggiarlo.

Accanto a lui però era stata appena accesa una slot machine e incuriosito decise di metterci una monetina dentro, così per capire se la sorte fosse stata dalla sua parte. Niente da fare. Fu sconfitto. Ma volle riprovare, ancora, e ancora e poi ancora. Preso da una ormai incontrollabile foga si dimenticò della sua missione. Passò il resto della vita a dilapidare il suo patrimonio, lasciando i suoi cari al proprio destino.

FINALE ALTERNATIVO

Un pochino più gioioso ma con un buon 30% di realismo in meno. Il giorno seguente, il nostro conte partì alla volta della grotta. Si era svegliato prestissimo ed era molto soddisfatto di questo, visto che non vedeva l’alba da parecchi anni. Era un bel presagio! Dopo aver guadato spavaldo un fiume cavalcò con fierezza verso la meta e questo lo faceva sentire vivo. Nel suo corpo Vaniglio stava scoprendo di nuovo quell’adrenalina, quella carica cavalleresca tanto presente in giovane età. In cuor suo era felice. L’idea della figlia da salvare, unito a quel ritrovato fomento lontano dai tavoli e dai libri,lo stava ritrasformando in ragazzo. Nonostante la prostata, certo, non aveva più vent’anni.Vaniglio arrivò infine a destinazione. Raggiunta l’entrata della grotta gridò il nome della figlia e fortunatamente ricevette quasi subito una risposta.Era ancora viva. – Figlia! – Papà, finalmente! Sono qui, aiutami!

La figlia era chiusa in una gabbia coperta quasi totalmente dall’oscurità. Il conte scese da cavallo e, arrabbiatissimo, iniziò una folle corsa per liberarla. Corsa subito interrotta da una voce profonda e minacciosa. – Benvenuto, ti stavo aspettando.Era il drago. Il conte, dopo essersi preso una veloce pausa per pisciare,estrasse la spada dal fodero pronto a combattere sfoggiando il suo sguardo più cattivo. Peccato davvero per la scarsa illuminazione. – Dove sei? Fatti vedere, drago malvagio! Non la passerai liscia! – Sono qui, non mi vedi? Dall’oscurità, non senza sogghigni malvagi, comparve questo essere gigante e maestoso. Conscio della sua superiorità fisica, il drago manifestava nei gesti e nelle movenze una certa arroganza e si concesse la prima mossa.

Senza dare spazio a possibili iniziative di Vaniglio, il drago dell’est attaccò subito lanciando alla cieca una buona dose di fiamme, seguita da svariati insulti rivolti alla mamma del conte. Vaniglio, a fatica, riuscì a evitare quell’attacco. Anche se ci rimase male per quelle offese gratuite. – Drago! Perché hai rapito mia figlia? – Non fare domande idiote. Il drago si pose con insolita leggiadria proprio davanti a lui, con aria di sfida. – Sai di cosa sto parlando… – Sei serio? Davvero,non lo so! – Stupido Vaniglio. Hai ucciso tutti i miei amici! Ora è venuto il momento di vendicarmi! – Ma, non capisco! Sono anni che non ho a che fare con i draghi. Perché te ne esci solo ora? – Ho passato molti anni ad allenarmi duramente in Cina. Adesso sono finalmente pronto. Vendetta! – Gridò con tono epico. Iniziò un duro scontro. Vaniglio era arrugginito, ma resisteva ancora bene agli attacchi di un drago arrabbiatissimo e determinato. Lamenti, grida di battaglia, bestemmie tra le più fantasiose mai sviluppate nella storia delle interazioni sociali. I due combattevano furiosamente e dopo qualche minuto si trovarono in sostanziale parità.

Ma questa situazione non durò molto. Il drago negli anni si era allenato duramente e aveva acquisito alcune tecniche di attacco davvero straordinarie che gli permisero di avere, alla lunga, la meglio sull’avversario. Vaniglio si ritrovò a terra, disarmato e pronto ad essere travolto dalla mole del drago, che gongolante gioiva gridando nella sua lingua draghesca oscenità e prematuri canti di vittoria. – Finalmente avrò la mia vendetta, piccolo uomo! Farai la fine di tutti i miei amici draghi! – Non così in fretta! Nella grotta entrò di corsa la contessa con una gigantesca balestra e uccise il drago con un colpo ben assestato in mezzo agli occhi. Vaniglio, esterrefatto, trovò la forza di spostarsi e riuscì nell’ardua impresa di non finire schiacciato sotto il corpo senza vita del nemico.

La battaglia era finita. Il conte si alzò lentamente e,dopo aver liberato la figlia,corse dalla moglie per abbracciarla. – Elvira, mi hai salvato la vita! – Non sei più un giovincello. Sapevo che avrei potuto esserti d’aiuto! La famiglia, finalmente riunita, camminò lentamente verso l’uscita. Ad attenderli però vi erano circa duecento persone, tra poliziotti, esercito e guardie forestali. I draghi da alcuni mesi erano diventati specie protetta,a causa del rischio d’estinzione, e quindi uccidere degli esemplari diventava reato. Il conte si prese la colpa di quell’assassinio, venne arrestato e condannato a dieci anni di galera. Durante quella detenzione gran parte del tempo lo impiegò ad evitare le avances sessuali dei suoi compagni di cella ma nei momenti di solitudine ebbe la forza di finire il suo romanzo. E fu un grande successo di pubblico.

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Il conte Vaniglio di Marco Gargano