Il tram numero 13

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I loro occhi si incrociarono una fredda mattina di gennaio mentre lei saliva lesta sul tram numero 13 che la lasciava proprio di fronte ai grandi magazzini UPIM, dove lavorava come commessa. Lui avrebbe dovuto prendere il 21 per arrivare nell’officina meccanica di suo zio.Ma da quando aveva posato lo sguardo su di lei, prendeva il 13, senza curarsi del fatto che avrebbe fatto tardi a lavoro. Si sedeva qualche sediolino dietro di lei dalla parte opposta, nascosto dalle pagine aperte di un quotidiano. Sempre lo stesso da settimane. Fingendo di leggere il giornale, ammirava rapito la sua bellezza.

I lunghi capelli corvino che arrivavano le spalle. Il naso all’ insù, la bocca carnosa e i grandi occhi scuri su quel viso di porcellana gli procuravano un agitazione che nemmeno lui sapeva definire. La sua bellezza lo metteva in soggezione al punto che era convinto che mai avrebbe avuto il coraggio di avvicinarla. Lui magro come un fuscello in quella tuta blu da operaio, i capelli sempre arruffati e le mani indurite dal alvoro.Ne era consapevole e per questo si accontentava di guardarla da lontano. Quando lei scendeva, lasciando nell’aria la scia di un dolce profumo, lui tirava su il giornale.

A volte capitava che nella discesa, spinta dalla calca gli si avvicinasse al punto da poterla toccare. E allora il cuore gli batteva forte fino a che non la vedeva allontanarsi sul marciapiede.Lei guardava dritta davanti a se, fiera. Non  gli aveva mai rivolto lo sguardo. Intanto i mesi passavano e arrivò l’estate tra i vicoli di Napoli, spogliati finalmente dal grigiore dell’inverno. Il sole rischiaro ogni cosa. Le case buie e i volti lividi dei bambini che finalmente poterono tuffarsi spensierati tra le acque di quel mare azzurro.Riscaldò le mani gonfie delle donne per il lavoro e gli occhi annacquati dei vecchi che ringraziarono San Gennaro  per essere ancora vivi. Asciugò le case umide, che puzzavano di muffa e di miseria.

Distese i suoi lunghi raggi sulle macerie di una città ferita a morte, sventrata fin dentro le viscere, ma mai vinta. Venne il caldo e lei raccolse i lunghi capelli in una coda e indosso abiti leggeri che le scoprivano le braccia e le gambe. Lui capì che ciò che provava non era solo turbamento della carne, ma molto di più. Lui l’amava e il pensiero di non essere da lei ricambiato lo paralizzava su quel sediolino del tram numero 13.

Ma una mattina che non la vide alla fermata, con il cuore gonfio di angoscia e mille pensieri cattivi che come un vortice gli giravano in testa, decise che il tempo era giunto e che l’indomani si sarebbe dichiarato. Aveva poco da offrirle, la guerra gli aveva portato via tutto, ma aveva un sogno nel cuore e voleva che si avverasse insieme a lei. Il 21 passò, ma lui non lo prese. Rimase da solo sotto la pensilina. Un profumo conosciuto gli arrivò  alle narici, trasportato da  un  soffio di vento. Lei era al suo fianco.Si girò, nello stesso istante n cui lo fece lei. I loro occhi si incrociarono. E lui capì che era la donna della sua vita. Lei gli sorrise e lui senti le gambe venir meno.

 “ Mi chiamo Giovanna” gli tese la piccola mano bianca. “Penso che è arrivato il momento di conoscerci” disse risoluta “ Visto che sono mesi che mi stai appresso”  aggiunse seria.

 “Michele” fece lui e le tenne la mano per un periodo di tempo che le sembrò eterno, arrossì, balbettò e cercò quelle parole che mille volte si era  ripetuto

“Non volevo offenderla” Il viso rosso e le gambe malferme

“E mica mi sono offesa” Fece lei guardandolo negli occhi.

“Pensi che se non volevo ti avrei permesso di guardarmi con tanta insistenza per tutti questi mesi?” gli disse civettuola. Lui rimase senza fiato.

“Almeno il giornale potevi cambiarlo ogni tanto” un sorriso le illumino il volto

Lui prese coraggio e le chiese di frequentarla. Lei glielo permise e lui lo fece sempre con rispetto. Lei gli parlò di sé e lui la portò in quel sogno che lo avrebbe portato lontano.

“Aspettami” le disse una mattina al molo Beverello con in tasca un biglietto per l America

“Tornerò” le disse mentre la stringeva forte a se. Lei si lasciò baciare e promise di essere sua per l’eternità. Il loro amore superò l’oceano e affrontò la distanza senza mai cedere. Le lunghe lettere solcavano i mari senza sosta. Passarono i giorni i mesi, le stagioni si rincorsero. Lei non perse mai la certezza e lui non la dimenticò. Tornò e la portò all’altare. La prese in braccio sulla soglia della casa a Chiaia, affacciata sul mare del golfo dove la sirena Partenope  si era lasciata morire per amore e la fece sua.

L’amore li salvò da quel dolore senza nome, per quel figlio perso troppo presto.Lei non si rassegnò e  lui la comprese e la sostenne, quando ancora nel pieno della passione, lei decise che il suo amore carnale era seppellito per sempre insieme al suo bambino. Non la cercò mai nelle donne che conobbe. Conscio di assecondare solo  un bisogno dal quale non era capace di sottrarsi. Nel suo cuore lasciò per sempre intatto quell’amore, come il primo giorno. La vecchiaia li raggiunse troppo presto. Lei bramosa di congiungersi a quel figlio che non aveva mai lasciato andare e lui stremato da una lunga malattia.

“Aspettami” le sussurrò all’orecchio quando una mattina la scoprì senza vita accanto a sé.

“Per l’eternità” gli sembrò di sentire la sua voce. La strinse forte a se, chiuse gli occhi e la raggiunse.