La ballerina


Luca amava passeggiare di notte per la città di Milano. Amava la città nel buio, quando alcune strade sono quasi inghiottite dalla notte. Usciva di casa alle 22.00 di ogni santo giorno, ma non aveva una meta precisa, semplicemente vagava. Una sera si fermò davanti ad una giostra. Non c’era nessuno, la giostra era grande come un’auto ed era appoggiata di traverso sul marciapiede. Luca si guardò intorno, non c’era nessuno. Sembrava abbandonata, come se qualcuno l’avesse rubata e poi, pentito o inseguito dalla polizia oppure solo stufo, l’avesse abbandonata lì, ancora coperta da un telo bianco. Luca si avvicinò e la osservò con maggiore attenzione.

La base della giostra aveva le ruote mentre intorno c’era una sorta di poggia mano con alcuni sgabelli, dove presumibilmente, i bambini si dovevano sedere per girare intorno a ciò che era coperto dal telo. Luca si guardò ancora intorno, non c’era nessuno. La città sembrava immersa nella sua solitudine. Tolse il telo e ciò che vide era meraviglioso e inaspettato: una ballerina con i capelli neri lunghi, il viso piccolo e ovale, gli occhi dipinti di nero e un abito bianco che la copriva fino alle caviglie. Non aveva mai visto nulla di più bello. Il viso era così realistico che sembrava vero, sembrava il volto di una ragazzina. “Bellissima” pensò. ” Sei stupenda”. Era quasi estasiato. La giostra era anche leggera, si rese conto cercando di muoverla con le mani, aveva le ruote e dunque avrebbe potuto portala via con sé. “Meravigliosa” pensò ancora.

In un momento di follia di quelli che avevano costellato la sua esistenza, Luca cominciò a tirare la giostra e con un po’ di sforzo la tolse dal marciapiede e cominciò a spingerla verso casa. La città era deserta e, dunque, nessuno lo avrebbe intralciato nel suo progetto di portarsi a casa la giostra. Mentre la spingeva la osservava. La ballerina adesso guardava verso est e dunque lui poteva ammirarne il profilo. “Quale nome potrei darti”, pensò.  “Sara”, esclamò ad alta voce. “Sì, ti chiamerò Sara”, e continuò a spingerla.

La città era davvero troppo assente, dov’erano finiti tutti? Luca da mesi viveva da solo, aveva perso il lavoro perché avevano dovuto rivedere la sua posizione, ma non aveva sofferto troppo, in fondo il suo lavoro gli era indifferente. Dopo la morte dei suoi genitori non doveva rendere conto più a nessuno della sua esistenza; si era quindi chiuso in casa a leggere per lo più e ad ascoltare in modo ossessivo Mozart, a caso, senza scegliere una sonata in particolare. Solo di notte usciva e camminava per ore evitando i posti troppo affollati. Da quando però era scoppiata l’epidemia per strada trovava sempre meno persone e si sentiva ancora più libero.

Spingere la giostra non era facile, le buche sul manto stradale lo ritardavano e le ruote, un po’ danneggiate, tendevano verso destra. Luca, comunque, con pazienza e dopo due ore di fatica era riuscito a portare vicino a casa sua la giostra. La infilò fra due auto parcheggiate sotto al suo balcone, quel posto era libero già da due settimane, cosa impossibile in una situazione normale dove la gente si uccideva per un parcheggio ma l’epidemia aveva cambiato tutti i ritmi e aveva mutato il modo di vivere delle persone. Ad ogni modo il problema adesso era portare la ballerina in casa, non poteva certo lasciarla sulla giostra, si sarebbe certamente rovinata con la pioggia o qualche disperato l’avrebbe rubata, pensò.

Si avvicinò, la osservò con attenzione; era bellissima, i capelli neri lunghissimi le arrivavano ai fianchi, gli occhi piccoli scuri guardavano verso l’orizzonte e il movimento delle braccia, immortalate mentre la ballerina stava per spiccare il volo sembravano abbracciarlo. Luca si era innamorato, la ballerina lo aveva folgorato, spezzato nell’anima per la sua bellezza. Una semplice statua in plastica e gesso lo aveva diviso in due, rompendo il suo equilibrio e spingendolo a svolgere un’azione inconsueta, portare a casa sua un’estranea. Luca salì sulla giostra e staccò la ballerina dal suo piedistallo. La abbracci stringendola forte, la sollevò e con un po’ di sforzo la portò via. Aprì il portone del palazzo e si diresse all’ascensore.

Era chiaro che la ballerina non entrava nell’ascensore e quindi Luca dovette caricarsela sulle spalle e portarla fino al quarto piano dove c’era il suo appartamento. Aprì la porta ed entrò. Appoggiò la ballerina al muro vicino all’ingesso e le presentò casa sua. Era un appartamento molto ampio con cinque stanze. Ovunque libri, impilati in librerie che arrivavano fino alla sommità dei muri, accatastati per terra, accumulati in ogni angolo della casa. Luca li aveva presi dalle biblioteche, ormai non più frequentate da nessuno. Nella sua solitudine più totale i libri erano un vago conforto. Prese la ballerina e la adagiò sul divano, distesa. Era per lui bellissima, viva, potente con la sua grazia ed eleganza immobile. In potenza Luca la vedeva ballare. Ormai mancavano poche ore al giorno x. Un giorno qualunque che aveva segnato sul calendario ma che era inevitabile. Quel giorno sarebbero venuti a prenderlo perché era l’ultimo abitante del quartiere. L’ultimo ad essere rimasto lì, dopo che tutti erano stati evacuati. Lui aveva sviluppato degli anticorpi sufficientemente forti da resistere all’attacco di un virus che aveva colpito più di duecentomila persone nella sua regione.

Molti che aveva conosciuto erano morti, lasciando dietro di sé pochi ricordi, perché dopo di loro erano morti infettati i loro famigliari. Per Luca lasciare il suo quartiere era impossibile, per questo era riuscito a ritardare la partenza, trovando il modo di convincere i sanitari che lui era immune. Ma ormai non c’era più tempo, tutta la zona sarebbe stata bonificata e dunque lui doveva partire. Guardò la ballerina distesa sul divano, sembrava stesse sorridendo ad un fato inevitabile. Luca si avvicinò, l’abbracciò, la sollevò dal divano e insieme aspettarono una nuova alba sorgere.