Margini

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Margini.

Un rincorrersi di parole e di ricordi che sfumano nell’etere.
Piccole tenerezze, canti, sguardi maliziosi e diversi, sorrisi, un caldo abbraccio, una parola amica, un profumo di buono e di sincero, una danza che scivola fra le parole, un fiore che sboccia in mezzo ad un prato, una spiaggia, un mare immobile come un lago ed intorno occhi voci che tacciono, distese di fondali verdi tali da non esistere, come i sogni e le fantasie che scivolano lentamente nel buio e sempre in solitudine.
Ma questi attimi non sono miei, sono soltanto desideri smarriti che mi camminano accanto, estranei che fiancheggiano il mio tempo, pensieri e rimembranze che trattengono emozioni intense, fuoco tiepido della mia anima e non sono miei…sono ponti d’arcobaleno sospesi tra realtà e fantasia sono scampoli di un destino sempre prodigo di sfide.
Il mio cuore nomade è racchiuso nel cerchio magico della mente, gioca col tempo scuotendo leggero la polvere del passato, costruisce castelli in aria e sogni lasciandoli cadere ad uno ad uno in fondo al mare.
Si adageranno danzando in punta di maree e flutti vagabondando fra pensieri e frammenti d’ombre.
Attimi silenziosi, senza nessuna eco se non il pensiero improvviso del mio paese che è riuscito a mantenere nel tempo, la sua solita immagine statica, io ne sento il richiamo e la nostalgia mi assale molto spesso.
Nessun decadimento, nessun regresso, per uno strano ed arcano processo di conservazione è rimasto quello di sempre, nulla ne ha intaccato la naturalezza, il gruppetto di case, anche se appena affrescate, mantengono il fascino di epoche lontane evocando malinconici ricordi.
C’è una distesa d’acqua in quel piccolo paese, un ponte enorme, un verde intenso d’alberi, un foglio colorato d’azzurro, il cielo sopra ed il luccichio riflesso di una luna che sorride, evanescente, fluttuante a mezz’aria che danza fra i versi silenziosi di chi sa immaginare, ritrovarsi…provare e sentire l’emozione forte di quello spettacolo blu notte.
Luna, cielo, lago..il tutto fra rovi mirtilli e lamponi e fra sentieri melmosi e vissuti ormai senza più impronte.
Piccole stelle si riflettono sull’acqua raccontando favole di vita con stupore.
Il sole brilla filtrando fra gli alberi che vi si specchiano maestosi, i ricami delle ombre fra canneti e sentieri donano al villaggio l’aspetto un po’ triste e desueto di una vecchia dama altera, abbigliata per il ballo.
La strada curva dolcemente fiancheggiando ridenti ed irregolari casette e villini…un piccolo ponte attraversa il fiume, una scuola e tre o quattro negozi che neppure si notano ed emanano profumo di buono…di latte appena munto…di pane appena sfornato.
Ma un tempo era tutto diverso, alla buona, più semplice ed antico.
Il riso, farina, zucchero e pasta nei pochi negozi, erano conservati in sacchi di iuta o grossi barattoli di vetro ed una paletta veniva usata per dosare, sulla vecchia bilancia, il ponderato fabbisogno…per noi bambini era eccitante guardare la pesa.
Proseguendo, dopo un rettilineo fiancheggiato da orticelli e prati, si
arrivava al centro paese con la chiesa piccola di fronte a quella grande che s’innalzava dominando e sovrastando la piazza.
Accanto il vicariato ed il borgo antico, le stesse case di allora così grigie ed obsolete con una certa familiarità antica ed una patina di usura nerofumo.
Nella piazza lo stesso bar, vicino un campo da pallone e dietro alla chiesa immerso nel verde, il piccolo cimitero con un aspetto pulito, quasi accogliente, silenzioso, che a parte il cinguettio degli uccelli, era immerso in una dolce quiete, protetto ai lati da ombrosi e giganteschi cipressi.
Sotto il sole tiepido d’autunno e sotto ai miei occhi, si snodava la vita di quella contrada dove ancora oggi s’intersecano e s’intrecciano vite giovani che parlano un dialetto per molti incomprensibile, ma non per me.
Troppo difficile per me dimenticare il luogo dove sono stata sicuramente più felice e che poi ho abbandonato, sono cresciuta, sono ritornata alla vita di città…ho visto e vissuto in altri luoghi.
Ho visto boccali di birra svuotarsi in un fottuto istante su tavoli di osterie, ho sentito rantoli e piagnistei di ubriachi accovacciati sui marciapiedi, creature patetiche, esseri persi nell’oblio di un mondo falsamente euforico.
Ho guardato, osservato con disgusto ma non ho mai riso delle loro miserie e del loro balbettare barcollando incerti e traballanti, quello non l’ho fatto mai.
Ho vissuto lo sporco e la puzza di sudore dei vagabondi e dei drogati, ho visto e camminato fra vetri rotti con panico, fra bestemmie e violenze…ho cercato fazzoletti di cielo e visto fare sesso altrove… ho visto con ribrezzo topi e macerie in questo angolo di mondo così abbandonato dalla decenza.
Ma non tutto è stato sempre così.
Potevo anche camminare per ore fra viuzze silenziose e pulite, fra antichi e medievali palazzi e chiese in luoghi con una maggiore densità abitativa, potevo sentire l’immagine schizoide della città, il suo odore, il respiro affannoso ansimante del cemento ma anche la sua unicità.
Era fantastico tutto quel chiarore e quella luce tanto abbagliante dei neon pulsanti, visibili specialmente di notte e le vetrine invitanti e truffaldine, l’odore di cibo che impregnava l’aria ed a volte l’ammorbava…
La gente che tracimava sui marciapiedi, l’intermittenza dei semafori, i cauti sorrisi, i saluti ed io non mi sentivo mai sola, potevo scendere al porto ed incontrare desolanti punkabbestia a cui donavo una moneta, sperando che servisse a comprare cibo per loro e per i fedeli amici nelle pigre giornate d’inedia.
E poi era dolce guardare il mare e le navi all’orizzonte ed annusare l’odore di salmastro mescolato a quello di cibo, di kebab, di farinata o più intenso quello di pesce fritto.
Tutto passato e da dimenticare.
Ora vivo esperienze e vita diversa…mi affaccio alla finestra su una distesa di prati verdi, di alberi e fiori, poche case ma inondate di sole, una chiesa, un campo da tennis e uno da pallone, il cielo…il buio ed in fondo, più giù il fantastico mare.
Respiro il silenzio profumato delle stelle, dispenso sorrisi a voraci merli e passerotti che arrivano vibrando l’ali per rimediare qualche briciola di pane ed annuso la vita pura.
E poi da quassù guardo il tempo che passa, aspettandoti.
Nel mio piccolo giardino, metà al sole e metà sotto la pioggia sospeso sulla collina, fra il verde degli oleandri e degli ulivi,
Sarà un altro giorno felice da ricordare una vita che riprende a sperare, un’altra che comincia a vivere.
Ho letto da qualche parte, che quando piove con il sole, si pettinano le streghe, lisciando i loro fluenti capelli che si trasformano in sottile pioggerellina, mi sembra un miraggio e lì, nella metà assolata, osservo quella linea immaginaria che delimita pioggia e sole, timorosa di rompere l’incanto.
Respiro l’odore buono della terra ed aspetto che tu scenda saltellando le scale ridente, con la premura di scoprire il mondo ed iniziare a vivere quella giornata per te tanto diversa, che ti porta a svelare il silenzio ovattato della campagna, dove tutto ti attrae e dove ogni cosa è diversa.
Ricordo il tempo mio, quello dei vestiti che non si sceglievano, delle ore facili, delle cose senza valore, della strada sterrata, era il tempo di raccogliere more e lamponi sbucciandosi la pelle, senza sentir dolore.
Anni semplici, lontani, anni senza nulla e tutto, troppo presto finiti.
Ora sono tuoi, è tuo il tempo, arrivi attraversando l’aria e la vita ed io ti vengo incontro, tu bambina, io grande…io la tua nonna, io aspettando un gesto, un respiro, un abbraccio…io rubandoti un bacio.
Per favore amore mio, lasciati guardare che per me sei il sole, con quel piccolo corpicino flessuoso e scattante, quel sorriso che ti illumina gli occhi blu, dai batti cinque, come si usa adesso per cercare un contatto, lasciati sprimacciare e sbaciucchiare il collo, dove posso sentire l’odore di buono, lasciati catturare dal mio sguardo, mentre assaggio la pioggia con la punta della lingua che oggi non ha gusto e non bagna, dai per favore cucciola arriva, io ti sto aspettando.
Aspettandoti…domani magari e ancora altrove.
Oggi, lontano dai miei ricordi di gioventù e poi da quei vicoli, da quel centro storico così unico, così ammirato, così antico ed irreale, nonostante tutto, mi sento sempre io ma con il dono dell’ubiquità.
Respiro spensierata col sorriso di fanciulla e col tempo che è passato, vivo l’asfalto un po’ rugoso ma con il sole ed il profumo d’erba e spazio, respiro, rido, piango e cammino nel tempo volando sul mare come un gabbiano libero e felice.

Lucilla