È stata la subitaneità della tua apparizione
a rapirmi
e sottopormi alla fatalità
di un tumulto di sensazioni
che mi ha travolta e inviluppata
e liberata dalla mia coeterna condizione
di misoneistico solipsismo.
Tu sei come un sipario:
fai cadere la stoffa purpurea
e mi doni la vista.
E dopo il rossastro tramonto del velo
il buio è spezzato dalla madreperla della tua luce,
e l’occhio impavido non trema,
rassicurato dalla tremenda bellezza
della tua incertezza.
Non c’è bisogno di parole,
su quel palco,
il tuo silenzio è significante e significato,
perfetto muto monologo,
ponte tra me e l’immanente magia delle cose reali,
risoluzione della fatale dicotomia
che frattura la mia essenza.
Che possa,
il sipario,
non cadere mai più.