Cor habeo… E’ una donna come tante. Ha una vita come tante. Solo che, diversamente dalle altre, si ammala a soli 35 anni di un cancro al seno che, benché sia allo stadio iniziale, è molto molto aggressivo. Sua figlia ha solo 7 anni e mezzo.
La vita improvvisamente scorre davanti agli occhi, si pensa che sia già finita e il pensiero più grande non va a se stessi. Dopo la prima fase di incredulità e disperazione si è pronti a tutto, perché il pensiero va sempre e solo a loro, ai figli.
Quando si parla di lotta alla malattia si tende a circoscriverla all’ambito terapeutico e medico. Malattia è una DIAGNOSI, cui si associano delle terapie, degli effetti collaterali, delle indagini e, soprattutto un calendario interminabile di scadenze. Ore 8.00 prelievo, ore 10 TAC, ore 11 compressa, ore 12 infusione e così via dicendo.
Ma un paziente non è solo un corpo. Una donna, nello specifico, non è solo un corpo. E’ persona con la sua quotidianità, il suo ruolo familiare, il suo ruolo nel mondo del lavoro, nella comunità.
La malattia ferisce il corpo e, per quanto si presti sempre più attenzione a che gli interventi chirurgici siano meno lesivi e per quanto esistano validi supporti a mascherare gli effetti delle terapie, quale può essere una parrucca, il corpo è chiaramente ferito e si fa fatica ad accettarlo.
Ma la malattia porta via anche tutto il resto, soprattutto il resto. E, per quanto siamo stati in grado di organizzarci con strumenti di welfare che supportano il paziente o almeno dovrebbero (pensiamo ai sussidi di invalidità e ai permessi per malattia, ad esempio), di contro, però, l’aspetto familiare non è delegabile e la forza con cui si affronta la malattia deve essere accompagnata dalla forza per continuare ad essere compagne nella vita e madri.
Essere madri…cosa significa?
Significa svolgere le normali attività quotidiane riuscendo, però, a preparare tre o quattro portate diverse contemporaneamente sì da far felici tutti. Significa, forse, prendere una laurea ad honoris in medicina e psicologia per i propri figli. Significa improvvisarsi parrucchiera, pasticcera, estetista, tassista, organizzatrice di eventi, cavarsela coi piccoli lavori di casa. Significa ritornare ad essere “figlie”, sviluppare vista e udito straordinari…
Ma essere madri significa, soprattutto, vincere le proprie paure, le proprie peggiori paure, quelle che tolgono il fiato, quelle che non ti fanno dormire la notte ma che non so come e non so perché improvvisamente ti trasformano in “eroe di te stesso”.
Con questo non intendo dire che per essere forti e, quindi, per salvarsi da un evento grave quale la malattia bisogna avere dei figli. No, assolutamente!
Essere madri è una condizione di cuore, quasi è scritta nel DNA, una condizione dell’animo che tutte le donne possiedono a prescindere dall’avere figli.
Maternità è accoglienza dell’altro, così com’è, con pregi e difetti, i punti di forza e le limitazioni, senza se e senza ma. E’ un cuore libero di essere se stesso, senza schemi, senza freni dettati dalla ragione. E’ un cuore che trabocca d’amore, è la cura che si dona all’altro, è la dolcezza che coccola.
Questo siamo.
Schulz disegna Chiarlie Brown che si rivolge a Lucy domandandole: “Dove hai trovato la forza?”
Lucy risponde: “Siamo donne, tesoro, la forza trova noi!”.
Questo per dire che è la nostra fragilità la più grande forza.
Chiudo così, con una riflessione di cui non conosco l’autore, ma che racchiude il senso del dolore, della paura, il nostro senso, quello che ci rende uguali solo a noi stesse, uniche e, pertanto, preziose.
“E’ il tuo modo di fissare il vuoto, quello di spegnerti in questo mondo e accenderti forse da un’altra parte, ma in quel momento diventi davvero bella. Perché poi ritorni con i tuoi occhi immensi e sorridi. E tu hai un sorriso solo tuo, comune a niente. Se dovessi paragonarlo a qualcosa, lo paragonerei a qualcosa che nemmeno esiste ma è bello da morire. Poi c’è questo tuo modo di chiuderti nei tuoi pensieri con gli occhi chiusi e nessuno sa cosa pensi, ma sei bellissima persa nel caos che tanto odi. Qualunque sia il viaggio, qualunque sia la destinazione, so bene che ci vai sempre col cuore e questo fa di te la donna più forte che esista”
(Cit.)
Mirella Donato
—