Corrien centauri, armati di saette. Scendendo dal pendio, dopo aver sostato lungamente dietro il sepolcro di Anastasio II, quando, dapprima con un soliloquio di Virgilio sulla struttura morale dellʼInferno, e poi conversando intensamente, hanno fatto in tempo ad abituarsi al tremendo fetore che giunge dalla cavità infernale, i due poeti intravedono in lontananza delle strane creature, che corrono lungo la sponda del Flegetonte.
Impegnate nella gravosa opera di sorveglianza dei violenti contro il prossimo. Chi sommerso e immerso nel sangue di cui è costituito questo fiume. Esse si dedicano con impegno a colpire i dannati con le loro saette. Quando costoro si sollevano dalla superficie del fiume, nella vana illusione di alleviare, almeno in parte, la loro pena.
Questi esseri sono i centauri. I quali, per la loro duplice essenza – umana e bestiale – e per la tradizione letteraria latina, che li presentava pronti alla violenza e al ladrocinio, rappresentano per Dante, come del resto il Minotauro, la cieca cupidigia e lʼira folle, attraverso cui si manifesta la parte peggiore del carattere umano e viene esaltata la brutalità dei comportamenti; e per questo motivo, il poeta li fa diventare i veri protagonisti del dodicesimo canto dellʼInferno, attraverso le figure di Chirone e Nesso.
Corrien centauri, armati di saette.
Continua su dantepertutti.com del 20.6.2018