Due amici al cinema

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Due amici al cinema

Domenica sera piovosa, l’appuntamento è previsto per le sei. Al indugiò ancora un po’ poi spense il pc. Impacchettò tutti gli accessori nello zaino e per ultimo ripose il pc nell’appposito spazio protetto da imbottitura. Soffermandosi a chiaccherare con Dana estrasse il portamonete accingendosi a pagare le consumazioni. Era li da sette ore.

“Tre caffè, un cappuccino, una coca e un raki”.

Disse il titolare che nel frattempo si era avvicinato a controllare la barista che s’intratteneva sempre con l’italiano, ogni giorno un po’ di più.Una leggera pioggia lucidava l’asfalto corroso e rifletteva la poca luce dell’unico lampione piazzato all’incrocio davanti al cafeneio. L’auto, un po’ più in la, nel parcheggio, brillava del suo particolare blu elettrico. Bagnata, sembrava pulita e in ordine ma non era così. All’interno un casino bestiale di giornali buttati alla rinfusa, buste di plastica usate ma vuote, l’ombrello senza manico, la ciotola dei cani e quella dei gatti che gli aveva dato Eva la settimana prima quando l’aveva sostituita nella cura degli animali gestiti dall’associazione. C’era pure la scopa elettrica che aveva ritirato per consegnargliela e una matassa di filo di ferro. Sarebbe dovuta venire al cinema con Miriam. Avevano declinato l’invito per la pioggia.

“Peccato, sarebbe potuta essere una buona serata”

La strada per il centro aveva poco traffico ed arrivò in anticipo all’appuntamento con Stefanos. Il film sarebbe cominciato di li ad un ora e per andare alla fontana veneziana, il cinema si trovava li vicino, bastavano cinque minuti.

Si accomodò ad uno dei mensoloni agganciati alla vetrata. Estrasse il portatile ed entrò in fb. Rispose ad alcuni post ben attento a ciò che scriveva, lo avevano bloccato una settimana per il suo frasario scurrile nei confronti dei politici e degli immigrati.

Si accomodò ad uno dei mensoloni agganciati alla vetrata. Estrasse il portatile ed entrò in fb. Rispose ad alcuni post ben attento a ciò che scriveva, lo avevano bloccato una settimana per il suo frasario scurrile nei confronti dei politici e degli immigrati.

“Sti magnamerda”. (non serve traduzione)
Nell’attesa consumò l’ennesimo caffè.
“E chi dorme questa sera?”
Si chiese ma trangugiò comunque perché al Bankerry l’espresso era veramente buono.
“Ze no moro de cancro ai polmoni a finizo co un colpo”. (se non muoio per un cancro ai polmoni schiatto per un attacco di cuore)

Stefanos arrivò puntuale come un architetto e si sedettero al tavolo che si era appena liberato. Le due donzelle che l’osservavano si erano alzate e dirette al banco. Lui non le aveva cagate. Le conosceva da tempo quali cacciatrici di vetusti danarosi.

Come di solito discussero un poco di architettura sfogliando il libricino delle idee che l’architetto portava sempre con sé assieme a parecchie riviste, libri e appunti vari, si da avere uno zaino che pesava come se fosse stato pieno di pietre.
“Come pesa la cultura!”
“E’ il tuo modo di fare ginnastica?”
“No, mi porto appresso le passioni”.
“Ah, ma no vedo figa dentro a borsa”. (ma non vedo gnocca dentro lo zaino).
Stefanos rise e Al:
“Che passioni sono se non c’è figa?”
Disse Al alzandosi per pagare ma l’amico lo anticipò:
“Tocca a me”.
“Già, l’ultima volta ho saldato io”.

Si avviarono chiacchierando lungo la via principale di Rethymno alla volta del cinema. La maggior parte dei negozi era chiusa e, con le poche luci accese, le vie avevano un che di spettrale, come nei film dove la solitudine passeggia al buio. Il silenzio era rotto dal ticchettio dei tacchi di qualche signora sottobraccio al consorte o di qualche frettoloso passante col cappuccio della felpa calcato in testa e le mani in tasca a mo’ di “Roky”. Al conosceva la zona ma non ricordava di aver visto le insegne del cinematografo e si guardava attorno stupito di non aver colto alcuna insegna. Infatti non c’era.

“Siamo arrivati”.

Stefano spinse la porta a vetri del locale, più simile ad un bar che ad un cinema qual’era abituato a frequentare in Italia. Attese un attimo prima di entrare per guardare la lunga vetrina  che mostrava sulla viuzza il corridoio gremito di gente che s’avviava alla sala.
Si sorprese delle luci calde a incandescenza protette da vetri giallognoli che permeavano l’ingresso di sapore retrò, dell’angolo bar come quello dell’oratorio del paese, dell’omino, della signora e dell’aiutante addetti alla biglietteria, della coda ordinata dentro e fuori, del colore rosso amaranto delle pareti, dei pesanti tendaggi in velluto, della gentilezza della maschera, della bontà dei dacos e dei popcorn.

Dopo qualche tentennamento di Stefanos per la scelta delle poltrone: “Qui no. Qua neppure. La c’è il pilastro che ingombra. Infondo a questa fila troppe donne. Non voglio una poltrona laterale”

Presero posto sulla terza fila guardando lo schermo da giù in su.
“Ma siamo centrali”.
Commentò l’architetto.
“Eh si, posto buono per il torcicollo”.
Disse Al incespicando sulle razze delle poltrone.
La sala gli ricordava il vecchio cinema del suo paese dove si recava quattordicenne a vedere i film di Ulisse e Maciste e più avanti i primi musical con Caterina Caselli e gli altri cantanti di grido dell’epoca. Come allora quasi tutti sceglievano la platea perché la galleria era per i signorotti: quelli cafoni.

Il pavimento di linoleum, aggrovigliato attorno alle gambe delle poltrone che erano abbastanza comode ma troppo ravvicinate, lo fece incespicare ancora mandando a farsi fottere mezzo cartone di popcorn.

“Ma va bene così, al paese erano di legno allora”.

Le pareti alte avevano degli aggetti, con funzione fonoassorbente e per contenere le luci, di colore ocra che coronavano la sala interrompendosi alla galleria vuota e allo schermo mitigando l’altezza e davano il senso di vecchi fasti.  Il pubblico, rispettoso e silenzioso, quasi tutto femminile, lo guardava curioso perché parlava forte e in italiano con l’amico, con voce roca da fumatore.

Stefano era già seduto e intento a mangiare dacos immerso nei pensieri di chissà che.

Al si sentiva a suo agio, assaporava i ricordi di gioventù quando andava al cinema con gli amici dopo aver rubato cento lire dalla cassa dell’osteria. Si, perché lui era nato in un’osteria ed aiutava al banco, ma quando poteva scaricava l’incombenza sulla sorella o la zia e, inforcata la bici, pedalava come Bartali per non arrivare in ritardo al cinema. Detestava entrare a film già iniziato e dover cercare al buio, con l’aiuto della pila di Giuseppe, dov’erano seduti gli amici e Wilma. Non voleva essere il secondo a farsi fare una sega. Lei, durante le imprese di Maciste riusciva a segare due o tre amici che più tardi, all’ombra del campanile, gli avrebbero infilato le ditta tra le mutande. Smaniosa e vogliosa, ogni domenica li attendeva per quella spericolata seduta di sesso.

Ma c’erano regole ferree: niente trombate  solo seghe e ditalini, al massimo una leccatina più tardi.

L’invidia degli altri era palese, per osservare si protendevano al di la degli schienali. Si mise a ridere sommessamente ricordando la volta in cui lei, infastidita dalla curiosità, si pulì la mano sul bavero di quello più vicino.
Davano un film di Pupi Avati del duemilanove: gli amici del bar Margherita. Era ambientato a Bologna nel ‘54 anche se fu girato a Cuneo. Lo aveva già visto ma, essendo in italiano e sottotitolato in greco, lo avrebbe rivisto ben volentieri. Gli piaceva molto quel regista che si definiva di centro desta. Non lo apprezzava per la la sua fede politica ma per la genialità delle regie.
Ricordava  di aver letto nella sua autobiografia, “la grande invenzione”, che era stato ostracizzato dal cinema perché non di sinistra. Questo bastò ad Al per interessarsi e  vedere quasi tutti i suoi film.

Fu piacevole sentire le risate dei cretesi infossati nelle poltrone che avevano perso la loro originale forma per trasformarsi in tanti nidi. Con sua gioia, il film ebbe successo in quella piccola platea di estimatori. Dopo la seconda dose di nacos terminò il film. Si accesero le luci sui visi stralunati dal buio e illuminati dalle fioche luci da teatro.
Uscirono che la pioggia aveva finito di annaffiare la città e la temperatura mite preannunciava un indomani sereno e soleggiato.
Passi veloci e poche parole. L’architetto doveva andare a trovare le figlie e l’altro architetto, ormai ex, pensava di andare a bere qualcosa da Dana.

“Una chiacchiera, un’ora di pc e poi a letto che domani è lunedì”

Due amici al cinema – Racconto di Alex51