Elogio “comune” della follia

Ed è sempre così, più reprimi l’uomo, più il desiderio di libertà sfocia nell’estremo; e cosa c’è di più al di là del confine della follia?

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E lo sapete che c’è?

C’è che a tutti piace ciò che piace ai più, piace quel che colpisce la sofferenza dell’uomo e le sue paure più recondite.

Piace il folle, la decerebrata mania furiosa di un pagliaccio, che fa sentire speciale la gente nella banale e noiosa vita che la dilania.

Il folle inaspettato che sconquassa il monotono di sempre, in una tela monocroma in cui un solo personaggio di colpo getta rosso e verde negli occhi della gente e, voilà : capolavoro assicurato.

Ma lo è davvero?

Forse, già forse, perché è facile sorprendere, è facile colpire l’animo dell’uomo, basta poco, basta davvero dire che la vita fa schifo e mandare a puttane la quotidianità ingabbiata del politicamente corretto e delle regole.

Lo si è fatto in un film, in cui il scontato supereroe nero sbiadisce nel panorama cinematografico in cui era divenuto protagonista solo grazie ad una figura terza.

E tutti vorrebbero, infatti, essere pagliacci insani, ma nessuno davvero ha capito il messaggio del J.

La semplificazione del complesso che è chiave di lettura della nostra epoca ha fatto sì che il messaggio che arrivasse all’osservatore fosse un altro: un invito all’autodistruzione, non di se stessi, ma della figura creata dalla società, che non potendosi davvero verificare nella realtà, si vanifica in una macchietta dei comics che è tutto, ma di cui si è colto solo il quasi-nulla.

Il rischio di banalizzare, di prendere il “riuscito” di ogni cosa, ha fatto cadere (con molta prevedibilità, del resto) preda dell’ovvio anche un grande clown.

Abbiamo tutti gli stessi desideri in fondo, a tutti attrae lo stesso: il vizio, il proibito e quell’omicidio di vendetta o di rivendicazione (che solo chi davvero conosce lo ribrezza), e quell’imprecazione spontanea e finalmente svelata al mondo, e quel desiderio di fama e di nome…

Già un nome, solo un nome evocativo di grandezza e di libertà.

E si pensa che il J. sia espressione di ciò che non possiamo, ma vogliamo essere, e ci travestiamo da lui e lo idolatriamo come Dio di un secolo, il nostro, dove l’istinto è schiacciato e la noia bussa sempre alla porta.

Viene lui, scritturato anche fosse alla bell’e meglio (e non è questo il caso) e ci da il la, la tromba d’avvio ad una guerra non dichiarata e mai combattibile; ma che nella mente finalmente trova sfogo.

Come un corvo funesto che preannuncia l’inavverabile e ci dà possibilità di crederci, anche solo come illusione.

E niente, grazie, grazie è la voce di tutti i neo-appassionati, prima affascinati solo approssimativamente da lui, ora d’improvviso amanti passionali in pole position nelle piattaforme più disparate.

E in quel ballo, in quelle canzoni c’è un nuovo Vaffa, non quello della politica ma della vita, e come alle urne si manifesta nelle forme protestanti a noi note, così nei cinema e nel tempo libero prende forma di una maschera sorridente.

Lo è stato il volto preso in prestito dagli Anonymous, con V, meno riuscito nell’impatto collettivo solo per la maggiore difficoltà di comprensione del linguaggio, ma uguale nell’effetto, e altre voci si alzeranno dal coro collettivo di dissenso latente con sempre nuove e folli, fateci caso, solo folli, figure.

E si vedrà con Harley Q., se non sarà orribile la messa in scena, come tutte le donne alzeranno il tono, corali nell’elevazione storico- sociale di quel personaggio.

Ed è sempre così, più reprimi l’uomo, più il desiderio di libertà sfocia nell’estremo; e cosa c’è di più al di là del confine della follia?

Ma è oggi, in questa banalità del normale, che sta la voglia del folle, quel folle che se non controllato dovrebbe far paura e, invece, eccita.

E la frenesia non controllata di un gusto del tempo, di una compulsiva passione di sollazzo, può diventare pericolosa.

La rivolta con il rossetto, così la chiamo, è solo scena da film, come lo era la rivolta delle maschere in V, ma i film sono sempre precursori di una realtà presente o futura esasperata, certo, o forse non molto certamente, che al passaggio dall’esagerazione alla realtà la storia ci ha abituato.

Purtroppo.