Grovigli a cena
Ma tu che ne sai
di quanto fa male ogni giorno
sentirsi dire che non c’è ritorno
che non sei quercia ma bonsai,
che la solitudine non la superi mai?
Tu la senti questa vena?
Pullula, pompa fino a scoppiare
di veleno. Lo bevo per cena
ogni sera.
Tu cosa mangi per cena?
Io la zuppa mia piangente,
come il salice e Maria.
Se avanza c’è anche a colazione,
bevo tutto e corro via.
Ma tu lo sai dove si corre
se hai sassi lì sul petto?
Non respiro, ma ti aspetto,
ci vediamo a mezzanotte.
Nel silenzio e nella notte,
ecco, arrivi senza biglietto.
Come un cielo in una stanza,
un giudizio universale personale.
Quante storie e quanti inganni,
notti insonni, tosse e malanni.
Hai osservato letti soli,
mani sole e desolazione
che si cercano e si trovano.
Hai visto volti nuovi,
cosce note a colazione.
Hai contemplato tanto amore,
torce rosse, ardenti ed arse.
Di riparo le hai cosparse,
come le grida e la disperazione.
Tu solo sai chi siamo
nel profondo del silenzio,
che è più assordante di un fucile.
Spara! Spara! Spara!
Lì mi hai visto – sanguinante-
Io gemevo ma ero ferma,
dentro me un mostro nero
mi lacerava – ed io ero statua.
I suoi rami si spandevano per
colonizzare i miei organi.
Il mio battito incespicava,
asmatico il respiro,
i pugni nello stomaco.
Il suo nome è innominabile,
definirlo è già un confine.
Vive in me, è sangue e bile.
Mi distrugge ma ci sguazzo,
mi accarezza quando piango,
lo combatto e lo rimpiango.
È una guerra, ma chi vince?
Un fronte solo e una trincea
Se gli sparo, non respiro,
mi dilanio se lui vive.
Sono in guerra, ma a chi miro?
Dentro ho un vuoto,
ma lui lo colma e lì mi infetta,
mi sorseggia se mi giro,
mi prosciuga e più non nuoto.
Stai tranquillo, è solo un gioco.
Vieni per cena, io sono il cuoco.