La boccia assassina

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La boccia assassina


Il “Bar del Moro” prendeva il nome dal suo proprietario, tale Giovanni Scotti, che s’era guadagnato quell’appellativo da giovane quando aveva potuto vantare una capigliatura corvina e un paio di baffoni, qualora fosse stato possibile, più neri ancora. Il tempo aveva giocato il solito scherzaccio ed ora, a 60 anni suonati, il Moro, incanutito come pochi altri, avrebbe potuto indossare i panni di Babbo Natale. A lui però non gliene era mai fregato un tubo, avevano comunque continuato a chiamarlo così e quindi, a dirla tutta, non era cambiato proprio niente. La sua tana, cioè il locale che aveva tirato in piedi 35 anni prima, si trovava all’angolo della Martesana, dimodoché d’estate diventava il regno incontrastato delle zanzare e d’inverno scompariva tra i fumi della nebbia.

Chi se ne lamentava poteva benissimo dare forfait ma, a giudicare dall’affluenza giornaliera, parevano essere davvero pochi quelli che non gradivano il posto.

La clientela era costituita in massima parte da abitudinari che si dividevano sostanzialmente in due categorie, quella dei giocatori di carte e quella degli appassionati di biliardo. I primi occupavano i tavoli da quattro e, a suon di quartini di rosso, si scannavano davanti a briscole infuocate. Quante volte gli era capitato di dover lasciare la sua postazione dietro al banco di mescita, per correre a sedare le immancabili baruffe? Tante! Troppe per i suoi gusti! Del resto, guai se non l’avesse fatto! Qualcuno sarebbe arrivato anche alle mani! Quello stesso pomeriggio, intorno alle quattro, era partito il cinema Tanto per cambiare era stata opera del Tano, un sacramento a cui bastava un nonnulla per scatenare il finimondo. Una presa azzardata, una scopa mancata oppure uno scarto inopportuno ed ecco che si accendeva come un cerino.

Nessuno voleva mai fargli da socio perché si sapeva benissimo che, in un amen, tutto avrebbe potuto volgere in tragedia.

“Perché non ti sei tenuto stretto quel maledetto sette? Ti scottava in mano?” Aveva esordito così arrivando con i pugni sotto il mento dell’Egidio il quale, senza fare nemmeno una piega, aveva cercato di imbastire una spiegazione che, sinceramente, non sarebbe stata né in cielo né in terra. “E’ che volevo disparare le carte per fare in modo che il Savino…” Ma da quella bestia che era, il Tano non l’aveva nemmeno lasciato finire di parlare. “Disparare, ritirare pari… tutte balle! Il fatto è che abbiamo perso la primiera!” Così dicendo gli aveva quasi tirato in faccia le carte che gli erano rimaste in mano e, a quel punto era stato assolutamente necessario l’intervento del Moro. “Allora! Se volete prendervi a cazzotti fate pure, ma fuori di qui!” Borbottii, rimbrotti e qualche infelice saracca dopodiché gli animi s’erano placati e la partita era ripresa seppure in maniera nervosa.

La pace era tornata ma quanto sarebbe durata? E chi poteva dirlo?

Le scaramucce erano sempre lì, proprio dietro l’angolo ed il Moro non mancava di far ballare l’occhio, pronto a spegnere qualsiasi scintilla che avrebbe altrimenti potuto generare l’incendio. La sala del biliardo era tutt’altra cosa. Lì ci voleva mestiere e concentrazione, non doveva volare una mosca Ci si ritrovavano i “draghi della stecca”, quelli che non sbagliavano un colpo e se lo sbagliavano era perché c’avevano Saturno contro! A sfidarsi erano sempre le stesse coppie, quelle che s’erano consolidate nel tempo e che, per ovvi motivi, avevano raggiunto un’affinità davvero invidiabile. Esigenti, maniacali e pignoli fino alla nausea, ce ne avevano sempre una e guai a non dargli retta! Tutti gli anni, ad agosto, il Moro ne approfittava per dare una mano di bianco alle pareti ingiallite dalla nicotina.

Il Gino, uno dei più assidui, era di quelli che lì dentro non usava nemmeno i fiammiferi poiché per accendere una nuova sigaretta si serviva del muccio che ancora gli pendeva dalle labbra. La sua preoccupazione principale, appena messi giù i piedi dal letto, era andare in tabaccheria a comperare i suoi bei tre pacchetti di Nazionali, ovviamente senza filtro! Tutti gli altri gli tenevano il passo, tanto che il più sano c’aveva la bronchite. Per riuscire a fendere la costante cortina di fumo, serviva una luce adeguata ed il Moro, senza indugi, aveva provveduto alla grande, sostituendo la vecchia lampada centrale con una nuova e più potente capace di illuminare al meglio il tappeto verde. E adesso era lì, in attesa della prossima richiesta, del resto era tutta colpa sua che, nel tempo non aveva fatto altro che viziarli.

Alle nove in punto di quell’infausto giovedì era iniziata la sfida del secolo.

Si sarebbe giocata sul filo del rasoio visto che a parteciparvi c’era l’eccellenza. A misurarsi con il Gino e l’Alberto c’erano niente po’ po’ di meno che il Maurino, chiamato così per i suoi 155 centimetri di altezza, ed il Giorgio lo svizzero. I primi colpi avevano palesato una parità assoluta, non c’era niente da fare, le coppie avevano entrambe gli attributi. A sbloccare la situazione c’aveva pensato l’Alberto che con un guizzo di genio s’era portato in vantaggio di quattro punti. Gli occhi di tutti erano puntati sul pallottoliere, al quale poteva metter mano solo il Riccardo che fungeva anche un po’ da arbitro, quando dalla strada era arrivato lo stridio di una brusca frenata. I commenti erano caduti a pioggia.

A dare il via era stato, come sempre il Gino.

“Cos’è? Non siamo mica sul circuito di Monza!” L’Alberto, intento a dare il gesso sulla punta della stecca, aveva usato il suo solito tono canzonatorio. “Dai che adesso viene a farci visita qualche bel maranza!” Risate, cenni di assenso e intanto il Moro s’era ritrovato davanti al bancone quattro brutte facce, di quelle che era preferibile non vedere. Non che avesse mai avuto paura di qualcuno, però…. Però il Moro amava il quieto vivere, non gli piaceva dover discutere, preferiva lasciar correre e, in quel preciso momento, aveva avuto la netta sensazione che qualcosa di poco gradevole sarebbe certamente accaduto. Dopo aver ordinato quattro cognac, uno di loro aveva avanzato prepotentemente la più classica delle domande. “Dov’è il tavolo da biliardo?” Il Moro, senza farsi intimorire, aveva risposto con estrema franchezza. “Spiacente ma in questo momento è occupato …” E quello, per nulla scoraggiato, aveva ribattuto. “Non ti preoccupare, ci pensiamo noi a farlo liberare …” Ecco, aveva pensato il Moro, adesso cominciano i guai!

L’indesiderato quartetto, s’era spostato nella sala accanto ed ognuno di loro aveva preso posto intorno al biliardo. Qualche sguardo attonito e poi era stato proprio il Maurino a chiedere lumi.

“Desiderate?” Il biondo, con il bavero del cappotto alzato, non s’era perso in preamboli. “Sgomberate che ci serve il tavolo!” Senza prendere in considerazione l’eventualità di dover rispondere, Il Gino, appoggiata la stecca sul bordo, aveva puntato alla boccia che però era stata fermata prontamente dalla mano di quello che aveva in testa tre capelli in croce. La reazione era stata immediata. Il Maurino, colto da raptus, aveva preso la prima boccia che gli era capitata a tiro e gliel’aveva scagliata contro come un fulmine. Fortuna che quello aveva fatto in tempo a schivarla e quella nel silenzio assoluto, era andata a terminare la sua corsa contro il grande specchio appeso alla parete di fronte.

Il Moro era corso a vedere cosa fosse successo. Sarebbe toccato a lui, come sempre, redimere la querelle ma, stavolta, la faccenda pareva davvero seria. Il volto del malcapitato era passato da un pallido assoluto ad un rosso scarlatto tipico di chi sta gridando vendetta. I suoi compari avevano dovuto faticare per tenerlo fermo. C’erano riusciti grazie soprattutto all’intervento di quello che, messogli un braccio intorno al collo, era stato capace di inchiodarlo al pavimento. Ci sarebbe mancata solo la rissa e poi sarebbero stati tutti a posto! Il Moro aveva dovuto fare la voce grossa per riportare la calma. La risposta più significativa però gli era arrivata da quello specchio sul quale era comparsa una ragnatela di crepe e che, miracolosamente, era rimasto sulla parete.

Allora, con le mani nei capelli, s’era messo ad urlare. “Ma che cosa c’avete nella testa? I criceti? Vi rendete conto che stasera ci sarebbe potuto scappare il morto?” Il Maurino, ancora fremente di rabbia, aveva da subito voluto rassicurarlo. “Per lo specchio non ci pensare… te lo ricompro io…” Ma il Moro non aveva voluto sentir storie. “Me ne sbatto le balle dello specchio!” Dal gruppetto dei quattro era partita una proposta amichevole. “Datemi mezz’ora, il tempo di andare a recuperare gli attrezzi, e lo specchio ve lo trasformo io…” Così dicendo, aveva guadagnato l’uscita lasciando tutti senza parole. Nessuno aveva osato ribattere, no, sarebbero rimasti lì in attesa di seguire gli sviluppi della vicenda. Dopo trenta minuti esatti eccolo ricomparire sul luogo del delitto…

Con tutta calma aveva tirato fuori dalla tasca interna del giubbotto gli attrezzi del mestiere, quattro pennarelli. Due rossi e due neri. Due con punta fine per definire i particolari e due con punta grossa per tracciare le linee guida. Quindi s’era messo all’opera. All’inizio c’era andato piano per la paura di far partire qualche scheggia. Poi però s’era reso conto che il tratto del pennarello era deciso e non necessitava di pressione alcuna per cui aveva proseguito di buona lena Seguendo le crepe più evidenti era riuscito a disegnare una fila di dieci ballerine di cancan. Belle, discinte, con le gonne sollevate a mostrare calze a rete nere e provocanti giarrettiere rosse. Gambe tanto sinuose non s’erano mai viste! Poi era passato ai particolari.

Boccoli ribelli e corvini, occhi socchiusi ed ammiccanti, bocche vermiglie aperte in sorrisi invitanti.

Sorrisi volti a chi? Beh, ad un pubblico che seduto ai numerosi tavolini brindava con coppe di champagne e, mezzo brillo, strabuzzava gli occhi. Nell’angolo a sinistra aveva messo, a sigillo delle sue doti d’artista, una scenetta davvero esilarante. Si trattava di marito e moglie. Mingherlino in doppiopetto nero, lui. Strabordante in un attillato abito rosso fiammante, lei. All’atto di alzarsi per andare a rispondere al richiamo di quella carne fresca, l’omino veniva trattenuto dalla matrona che, afferratogli il lembo della giacca lo ammoniva a non muoversi di lì. Intorno al tavolo da biliardo era scoppiata una risata irrefrenabile. “Ma lascia che vada a divertirsi, povero diavolo!” Aveva gridato il Gino L’Alberto aveva rincarato la dose. “Con una di quelle ne vengono fuori tre di ballerine!” E giù di nuovo tutti a ridere! Poi erano partiti i commenti, quelli lusinghieri tutti all’indirizzo del pittore.

Ma quanto era bravo quel brutto ceffo? Si stavano domandando come fosse possibile riuscire a dare tanto movimento ad un disegno. Eh sì, perché guardando quello specchio si aveva l’impressione di assistere ad uno spettacolo del Moulin Rouge e, ad ascoltare bene, si sarebbero potute addirittura sentire le note di quella musica frizzante ed inebriante. E poi? E poi dove erano finite le crepe provocate dal lancio pericoloso di quella boccia assassina? Sparite, erano assolutamente sparite e adesso avevano lasciato il posto ad un assoluto capolavoro. Il Moro aveva voluto concludere a modo suo. “Dai che stasera offro da bere a tutti! Bisogna festeggiare! Voi vedete qualche specchio rotto?” Al coro dei “no” di tutti i presenti aveva fatto seguire. “Ecco, appunto… allora ci siamo scampati sette anni di disgrazie… brindiamoci sopra!”


La boccia assassina

Articolo di Bollina Lucia