Lo nostro scender conviene esser tardo

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Lo nostro scender conviene esser tardo

Caro lettore, siamo giunti all’undicesimo canto dell’Inferno, e la narrazione in forma di parafrasi della prima cantica della Commedia presenta a questo punto una brusca fermata o una messa a punto, scegliete voi, come se il Sommo Poeta avesse bisogno di riprendere il fiato.

Poco prima, Virgilio, dopo aver avvisato Dante di non dimenticare quanto gli ha appena detto Farinata sul proprio destino – “non passeranno cinquanta mesi, che tu sperimenterai sulla tua pelle quanto sia arduo imparare il ritorno in patria” – e dopo che, precisando ulteriormente, mentre solleva un dito a mo’ di ammonimento, sarà Beatrice (e Cacciaguida, in Paradiso, aggiungiamo noi) a presagire il suo futuro, si avvia verso sinistra, seguito da un poeta visibilmente turbato, entrambi prendendo via verso il centro del sesto cerchio, quello degli eretici.

Sull’orlo di un’alta parete che era costituita da grandi pietre spezzate ammassate in forma circolare, giungemmo sopra una folla di anime tormentate più crudelmente; e lì, per il ripugnante eccesso del fetore che diffonde il basso Inferno, ci avvicinammo, arretrando, alla pietra sepolcrale di un grande avello, dove io vidi un‘iscrizione che diceva: “Custodisco papa Anastasio, il quale Fotino distolse dall‘ortodossia”.

“La nostra discesa bisogna sia ritardata, così che l’olfatto si abitui in qualche modo prima al soffio fetido; e poi non gli sarà prestata più attenzione”. Così il maestro; e io: “Trova qualche rimedio tanto che il tempo non trascorra sprecato”. Ed egli: “Vedi che penso a ciò”.

continua su dantepertutti.com del 10.12.2017