Polaroid

65

L’amore era lì, sul fondo della tazzina con un avanzo di caffè amaro, il mozzicone di sigaretta che dormiva nel posacenere, i cocci di un piatto blu cobalto sparsi sul pavimento. E le sabbie mobili dei suoi pensieri rimanevano incollate a cosa era successo qualche ora prima: i baci, le carezze e poi la tempesta emotiva piombata sulle loro teste sprovviste di ombrello.

Nessuno sapeva spiegargli il perché e il percome, restava solo un senso di nausea dentro lo stomaco.

Si raggomitolò di lato sul pavimento di legno con i listelli incastonati per bene. Sentiva ancora i passi che veloci avevano percorso il corridoio, fino a scomparire in fondo alle scale del palazzo. L’occhio gli cadde sui vestiti ammucchiati sopra la sedia. Erano di tanti colori, un insieme di stoffe sgualcite che non c’entravano niente le une con le altre.
Percepì il rumore della chiave girare nella serratura della porta blindata. Si tirò su di scatto, pensando che fosse tutto già risolto. Invece era solo sua madre, che quando lo vide lì a terrà, piegò la schiena verso di lui e gli accarezzò una guancia:
«Che ci fai ridotto così? Non dirmi che è successo un’altra volta? Chi è questa persona?» Lo disse con un tono di rimprovero misto a dispiacere.

«Non posso dirtelo» e le parole gli uscirono fioche, mentre la luce cominciava a entrare prepotente dalla finestra e gli colpiva i capelli radi sulle tempie.

La donna camminò verso il lavello e guardò la vasca che conteneva i piatti ancora sporchi, con appiccicati avanzi di pane raffermo. Fece il gesto di iniziare a lavarli, ma lui disse:
«Lascia stare, adesso mi riprendo e faccio io.» E si alzò in piedi con l’aria stanca di chi ha passato la notte in bianco.
«Allora me ne posso anche andare» disse la madre seccata e batté un piede per terra. «Ormai sei grande, se hai bisogno sai dove trovarmi.» Lo fissò dritto in quegli occhi azzurri che erano anche i suoi, nella forma e nel colore, poi gli voltò le spalle e mosse le gambe verso l’uscita.

Lui la osservò mentre chiudeva la porta dietro di lei.

Si guardò attorno per capire da dove iniziare a mettere un pò d’ordine nella confusione che animava la stanza.
Vide il divano dal colore grigio chiaro, dove la polaroid era adagiata di lato, quasi nascosta, per non attirare l’attenzione.
La foto che avevano scattato assieme sbucava da una piega del panno a rombi rossi, verdi e gialli. Un vestito di arlecchino che stonava sui cuscini dal colore troppo tenue.
Era un’immagine mossa, in bianco e nero, fatta con la polaroid. Uno scatto veloce, realizzato da mani inesperte e smaniose. Ritraeva i sorrisi stampati di due ragazzi allegri, che si guardavano con la coda dell’occhio e cercavano di entrare nel quadrante dell’obiettivo.