Sedeva a un tavolino in disparte rispetto al via vai di camerieri e di clienti.
Ciò che mi aveva colpita era la sua capacità di estraniarsi dalla confusione. Ed era un bene, perché se mi avesse sorpresa a osservarlo con tanta intensità, sarei morta di vergogna.
Ogni giorno mi ripetevo che non l’avrei fatto più e ogni giorno mi smentivo. Passavo davanti al bar, lo vedevo e cedevo. Mi sistemavo in modo tale da poterlo guardare e mi perdevo in contemplazione.
Quel profumo inconfondibile giungeva fino a me e rabbrividivo.
A volte eravamo così vicini che mi sarebbe bastato allungare una mano per sfiorarlo. Se accadeva che cambiasse posizione, distoglievo gli occhi e mi sentivo avvampare, pregando che non si accorgesse.
Ma appena si isolava di nuovo, mi abbandonavo a fantasie audaci nelle quali mi vedevo allungare le dita per toccarlo.
Averlo tra le mani, sfiorarlo con delicatezza e mostrargli che sapevo il fatto mio.
“Non avevo mai visto uno sguardo così”.
Il suono della sua voce mi colpì come uno sparo e non osai fiatare, schiacciata dalla vergogna.
“Non devi essere imbarazzata. Avvicinati. È da un po’ che ti osservo e mi domandavo quando ti saresti decisa, ma vedo che ti occorre un aiuto”. E tese la mano.
Se fossi stata una donna di buonsenso, mi sarei alzata per andarmene immediatamente. Invece scivolai sulla sedia accanto a lui.
Avevo immaginato tante volte quel momento e ora non sapevo che dire, che fare. La consapevolezza di essere a un passo e di poterlo toccare mi faceva impazzire. Smisi di resistere.
Allungai la mano nel medesimo istante in cui lui, con un gesto deciso e delicato, fece scivolare il libro fino a me.
Le nostre dita si sfiorarono sulla copertina consumata dell’Hypnerotomachia Poliphili.
Era proprio una copia aldina del 1499.