Ad occhi chiusi ti lanci incauta,
come in uno spettacolo senza spettatori,
sulla corda della vita.
Tra luci, suoni e voci e colori
come se nulla fosse vero,
come se nulla fosse vivo,
come se il tempo si fermasse
e quel dolore ghiacciato divenisse,
per un istante, acqua incandescente
che scorre veloce sulle rive della mente
dove molla e distrugge argini e pensieri.
Ed io ho visto il tuo dolore prendere
le sembianze di una persona:
l’ho visto ballare al tuo fianco
e conoscere ogni tua mossa, passo,
salto, pausa; l’ho visto attenderti cadere
tra le sue grinfie da cui ti lasciavi graffiare
come fossero carezze; l’ho visto costringerti
a piegarti, a sottometterti ad un volere
che non era il tuo mentre tu cercavi di
divincolarti con tutta la forza che ti è
rimasta in corpo, non per fuggire da esso,
ma per spezzargli quegli arti che,
come sbarre di una gabbia, ti tengono
intrappolata da troppo tempo – come a voler
cercare riscatto e vendetta.
Vestita come la notte,
hai disteso le tue braccia come fossero
ali immense di drago per volare dritta
verso una luna che fa capolino dalle nuvole.
Sentirsi magici e lontani, invincibili e invisibili
finché c’è la musica che accompagna
i passi lenti di danza.
A colpi di otto una nuova scena
accompagna un nuovo respiro:
un’emozione che con impeto
divampa e prende forma. Ma l’unica cosa che resta finta è,
paradossalmente, il tuo sorriso:
è fermo, immobile, come fosse
un’insegna arrugginita dall’aria
e dal tempo, dimenticata lì per
la negligenza di qualche farabutto,
nascosta tra le fronde di un bosco
che non sa più respirare.
Ti ho vista volare, atterrare, afferrare,
cadere e rialzarti più forte di prima.
Al calar delle luci, però, ad attenderti
c’è solo qualche applauso a cui seguirà
la triste realtà: tu, come un’ombra furtiva
e sfuggente, svanisci dietro le quinte
nel modo in cui la vita, purtroppo,
ti ha insegnato a fare di fronte
al dramma del dolore.
Fuori non ci sono più finzioni
né vie d’uscita.
Non è previsto un piano di evacuazione
né una scala che conduca ad un rifugio sicuro.
Si scende dal palco solo per andare
incontro a se stessi e per mettersi in cammino
su una via fatta di coraggio e di colori:
avere un cuore che sappia ancora sperare
nel prossimo che sarà qui è un atto di fede.
Ho conosciuto il tuo dolore di persona
e l’ho abbracciato come fosse il mio:
sotto la sua tenera e fradicia scorza,
in cui annaspano buchi di luce, ci sei tu.
Impigliata e bellissima.
(Alberto Carbone è autore degli scritti presenti sulla pagina Vittime di eroi)