Tra le cose che non ho

356

Ad occhi chiusi ti lanci incauta,

come in uno spettacolo senza spettatori,

sulla corda della vita.

Tra luci, suoni e voci e colori

come se nulla fosse vero,

come se nulla fosse vivo,

come se il tempo si fermasse

e quel dolore ghiacciato divenisse,

per un istante, acqua incandescente

che scorre veloce sulle rive della mente

dove molla e distrugge argini e pensieri.

Ed io ho visto il tuo dolore prendere

le sembianze di una persona:

l’ho visto ballare al tuo fianco

e conoscere ogni tua mossa, passo,

salto, pausa; l’ho visto attenderti cadere

tra le sue grinfie da cui ti lasciavi graffiare

come fossero carezze; l’ho visto costringerti

a piegarti, a sottometterti ad un volere

che non era il tuo mentre tu cercavi di

divincolarti con tutta la forza che ti è

rimasta in corpo, non per fuggire da esso,

ma per spezzargli quegli arti che,

come sbarre di una gabbia, ti tengono

intrappolata da troppo tempo – come a voler

cercare riscatto e vendetta.
Vestita come la notte,

hai disteso le tue braccia come fossero

ali immense di drago per volare dritta

verso una luna che fa capolino dalle nuvole.

Sentirsi magici e lontani, invincibili e invisibili

finché c’è la musica che accompagna

i passi lenti di danza.

A colpi di otto una nuova scena

accompagna un nuovo respiro:

un’emozione che con impeto

divampa e prende forma. Ma l’unica cosa che resta finta è,

paradossalmente, il tuo sorriso:

è fermo, immobile, come fosse

un’insegna arrugginita dall’aria

e dal tempo, dimenticata lì per

la negligenza di qualche farabutto,

nascosta tra le fronde di un bosco

che non sa più respirare.

Ti ho vista volare, atterrare, afferrare,

cadere e rialzarti più forte di prima.

Al calar delle luci, però, ad attenderti

c’è solo qualche applauso a cui seguirà

la triste realtà: tu, come un’ombra furtiva

e sfuggente, svanisci dietro le quinte

nel modo in cui la vita, purtroppo,

ti ha insegnato a fare di fronte

al dramma del dolore.

Fuori non ci sono più finzioni

né vie d’uscita.

Non è previsto un piano di evacuazione

né una scala che conduca ad un rifugio sicuro.

Si scende dal palco solo per andare

incontro a se stessi e per mettersi in cammino

su una via fatta di coraggio e di colori:

avere un cuore che sappia ancora sperare

nel prossimo che sarà qui è un atto di fede.

Ho conosciuto il tuo dolore di persona

e l’ho abbracciato come fosse il mio:

sotto la sua tenera e fradicia scorza,

in cui annaspano buchi di luce, ci sei tu.

Impigliata e bellissima.

Alberto Carbone

(Alberto Carbone è autore degli scritti presenti sulla pagina Vittime di eroi)