Quei due stupidi, ingenui, forse amanti non facevano altro che regalarsi inutili silenzi pieni di significati.

Sapevano quello che volevano ma non sapevano forse come ottenerlo, o più probabilmente avevano paura di vivere qualche cosa destinato per sua natura a durare troppo poco.

Sta di fatto che per tentare l’impossibile si colpirono duramente più volte con tanto finta quanto tagliente indifferenza vestita di un vano orgoglio pronto a sgretolarsi nel silenzioso rumore che scaturiva dall’incontro dei loro sguardi, ogni qual volta che un po per caso si trovavano vicini.

Vicini, che poi loro non lo sono stati mai abbastanza, nemmeno quella volta che si accarezzarono la pelle coi loro respiri. Ancor meno lo erano stati sotto quelle sporche lenzuola di un motel di periferia.

Meritavano di vivere per sempre e per sempre è stato, almeno fino a quando il tempo non li ha fatti incontrare per l’ultima volta.

Erano quello che erano o forse erano quello che volevano essere: una silenziosa immagine in bianco e nero in mezzo alla caotica quotidianità di una città che non apparteneva a nessuno dei due.

Il giorno, uno come tantissimi altri, era nato da poche ore, e brillava di una luce vivace. Tutte le vite presenti ne sembravano strettamente dipendenti, e più brillava più loro si animavano, così come i passanti anche il traffico andava ad animare e colorare le altrimenti grige strisce d’asfalto che si srotolavano e correvano indifferenti tra i giardini e i palazzi ancora dormienti.

Nessuno sapeva cosa stava per succedere, nemmeno loro due, che si fecero sorprendere dai raggi del sole ancora addormentati, vestiti ma comunque addormentati su di un letto mai usato se non per chiedersi reciprocamente scusa per gli errori passati.

Quella appena passata fu una notte tranquilla forte tanto quanto la prima che passarono insieme, quando erano ancora lontani da quello che sarebbero diventati, in cui erano sempre vestiti, anche se solo dei loro sogni. Sogni senza ne filtri ne veli.

Quel giorno però, l’ultimo per i loro sguardi, rimandarono i sogni ad un mese nemmeno troppo distante ma che mai sarebbe arrivato, quel giorno avevano bisogno di camminare tra gli impegni e i ritardi di una vita che non si erano scelti.

D’altronde era autunno e i sogni un po come i fiori danno il loro meglio in primavera, o forse questo era solo quello in cui loro volevano credere, quello in cui ciecamente speravano, così ciecamente da non accorgersi delle insidie nascoste tra i giorni d’inverno.

La mattina li svegliò, in compagnia di un imbarazzo inaspettato ed indesiderato, che fastidioso come un bambino viziato, correva e strillava tra le mura di quel così piccolo ma accogliente monolocale. Infastiditi da quella presenza si diedero una veloce pettinata ai capelli e ai pensieri e sorridendosi, varcarono per l’ultima volta la soglia di quella che per assurdo sarebbe potuta anche diventare la loro casa.

Da li a poco si sarebbero confusi tra la folla e altre centinaia di storie diverse, ma per loro il mondo di cui erano solo ospiti, non era altro che una piccola fotografia sfocata che faceva da sfondo alle loro vite.

Quindi cosi nitidi e ben definiti si immersero in quel bagno di disorientanti rumori, raccontandosi a vicenda quelli che sarebbero stati i loro progetti per un futuro che forse non sarebbe mai durato abbastanza.

Camminavano dritti per la loro strada ignorando qualsiasi cosa che non fosse il suono delle loro voci e il colore delle loro ombre. Ignorarono veramente tutto, dai profumi tentatori di colazioni mondane, fino alla meta di quel loro piccolo viaggio immerso nel caos. Loro erano fatti così, erano fatti di tutte quelle cose di cui avevano bisogno per sentirsi bene.

Ma il tempo non ammette eccezioni, e questo loro lo sapevano, lo ignoravano ma lo sapevano bene, meglio anche di chi ne era ossessionato.

Così iniziò la fine di tutto. Quando parte dei sogni e progetti, che poco prima erano solo vuote parole di ambiziosi discorsi, si materializzarono per mano del tempo diventando scomodi ed ingombranti impegni.

Così continuò la fine di tutto. Proprio quando lo spazio aveva smesso di essere un problema, ecco che una da una parte e l’altro dall’altra venivano tirati ed allontanati, quasi strattonati dalla paura di doversi salutare.

Era quello il momento in cui tentare il tutto per tutto, lanciarsi nel vuoto e silenziosamente sperare che l’altro fosse pronto ad afferrare l’altra. Così con un timido ma disperato gesto, ignorato da tutti i passanti, le dita delle loro mani si raggiunsero appena quel tanto che bastò per riuscirsi a stringere in quello che sarebbe stato inevitabilmente il loro ultimo abbraccio.

Effettivamente non si dissero mai nulla di chiaro ma in quegli istanti, che a loro sembravano tanto infiniti quanto brevi, riuscirono a parlarsi senza dire una parola, riuscirono perfino a guardarsi anche dopo aver abbassato contemporaneamente gli sguardi sulla superficie di quel maledetto mondo, che forse invidioso, non li voleva vicini.

Vicini, proprio in quel momento , loro lo erano forse tanto quanto mai lo erano stati prima. Erano l’uno nell’altra insieme e soli nella paura di doversi, ad un certo punto dare le spalle, dopo un banalissimo ciao.

Così terminò la fine di tutto. Non appena le loro mani, bagnate da lacrime per sempre trattenute, si sciolsero da quello che forse era stato il loro abbraccio più intimo. Così i colori di quel mondo che prima facevano solo da contorno, precipitarono addosso ad entrambi.

Sporchi, feriti e frastornati da quelle sensazioni così opprimenti non riuscirono fare altro che stringersi tra loro per sussurrarsi l’ultimo silenzio prima dell’inevitabile. A quel punto non un solo sguardo si volse più a quello che erano prima che lei girasse l’angolo e lui si perdesse tra le mille strade che lo avrebbero riportato la dove tutto, un tempo, iniziò.