Dalla raccolta “Normanni e Visi d’Arabi” del poeta Sebastiano Impalà
Essere poeta oggi, in questo mondo pieno di sospetti, presi dalla paura di nuove guerre, dal timore che ci è servito dalle grande potenze che minacciano l’intero mondo con la voglia di comandarlo, essere e rimanere poeta, diviene un fatto molto più significativo e importante. Sebastiano Impalà riesce ad esprimere questo sentimento nella sua ultima raccolta poetica, permettendoci non solo di capire il suo intimo mondo, ma anche di sentire in quale misura uno spirito poetico è in grado di soffrire, o di giovarsi, per tutto ciò che sta succedendo a lui ed intorno a lui.
Coloro che sono capaci leggere tra le righe di ciò che è scritto, di sentire quello spirito che s’innalza tra il detto e l’espresso con le parole, non avranno difficoltà a cogliere la sua poesia piena di sensazioni e di stati d’animo così vibranti.
In questo contesto, non è importante a chi siano dedicati i versi, o da chi siano ispirati, ma i sensi o le reazioni che provocano tra i lettori che le accettano come proprio stato d’animo. Se così fosse, il principale scopo della poesia e del poeta sarebbe pienamente raggiunto. Sono sicura che con una simile constatazione si arrivi al punto in cui la poesia stessa diventa lingua universale, capace cioè di trasmettere all’umanità i sentimenti non solo di un poeta ma di un popolo intero. Anche se talvolta vi sembrerà che tutta l’intimità della maggior parte dei versi appartenga solo al poeta stesso, leggendo Sebastiano Impalà, scoprirete invece l’universalità dei nostri sentimenti. Ogni nuovo canto diventa una nuova esperienza, un nuovo stato d’animo, che è senza dubbio personale del poeta, ma allo stesso tempo ci appartiene perché possiamo sentirlo ed identificarlo come universale. La lingua poetica è da sempre universale, ma pare che oggi sia molto più importante e significativa nel poter dare speranza allo scopo del genere umano che si concretizza sicuramente nel desiderio di vivere in pace, in un mondo migliore, libero da tutti i mali.