Vaccini per difenderci dalle malattie infettive virali

Vaccini per difenderci. A che cosa servono? Possiamo farne a meno?

La perdita di fiducia dei cittadini verso la Politica ha generato la cultura del rifiuto. Esiste quindi tanta confusione su tutto ciò che riguarda il quieto vivere della Comunità.

Per avere le idee più chiare in merito alle malattie infettive virali di cui l’unica arma per contenere la diffusione (il Vaccino), necessita informarsi attentamente sulle statistiche mondiali elaborate dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, e non come qualcuno molto ma molto disinformato asserisce incolpando le Politiche del Ministro Lorenzin, in seguito alla ferrea decisione di Vaccinare gli alunni per difenderli e difendere la Comunità dalle varie pandemie infettive tipiche in alcune aree del mondo, che il vento, le zanzare, i profughi e il continuo viaggiare, trasportano dalle varie aree di contagio, mettendo in pericolo l’intera umanità.
Sembrerebbe che la malattia infettiva che colpisce maggiormente l’umanità é l’assenza di informazioni a protezione della propria persona e dei propri cari.

Che cosa é una malattia infettiva?

La malattia infettiva è una malattia determinata da agenti patogeni che entrano in contatto con un individuo. Possono essere virus, batteri, funghi o miceti, elminti, muffe e protozoi, diffondendosi in modo esponenziale.
Malattie infettive emergenti:
Dei 57 milioni di decessi che ogni anno si registrano nel mondo, circa 20 milioni sono causati da malattie infettive.
Non c’é da scherzare.

L’umanità deve fare i conti con le patologie vecchie, che non ci hanno mai del tutto abbandonato, e con quelle nuove: le cosiddette malattie infettive emergenti.

Con la locuzione emerging infectious diseases, un rapporto dello Statunitense Institute of Medicine of the National academies (Microbial threats to health, 2003) ha definito quelle patologie infettive la cui incidenza è andata aumentando in aree del mondo circoscritte o a livello globale nell’ultimo ventennio. Le malattie infettive riemergenti sono invece quelle che divengono nuovamente frequenti dopo aver mostrato una diminuzione significativa di incidenza.
Nel primo gruppo rientrano sia malattie che potremmo definire nuove, ovvero causate da un agente patogeno che prima di venire identificato era sconosciuto, sia malattie dovute alla diffusione in nuove aree di patogeni già esistenti, sia infine malattie nate dall’introduzione nella specie umana di patogeni che prima colpivano altre specie animali.

L’AIDS (Acquired Immune Deficiency Syndrome), la malattia di Ebola, la SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome) sono esempi di malattie emergenti.

Nel secondo gruppo rientrano, invece, quelle malattie che per un certo periodo sono sembrate sotto controllo. Malattie che purtroppo oggi sono tornate a essere una minaccia in vaste aree del mondo. La tubercolosi è una di queste.

Come emergono queste nuove malattie?

In realtà esseri umani e microbi convivono e interagiscono continuamente da milioni di anni e solo raramente questa interazione produce una nuova malattia. Alcuni fattori possono favorire tale fenomeno. Nel 1992 l’Institute of Medicine ne individuava sei, ma nel 2003 la lista era cresciuta fino a comprenderne tredici. Sono fattori che riguardano l’ambito genetico e biologico, quello ambientale, quello ecologico e quello sociale, politico ed economico.
Il più importante di questi fattori è forse l’evoluzione dei microbi. I microrganismi patogeni, anche a causa della loro velocità di riproduzione, hanno un elevato potenziale evolutivo. Queste mutazioni possono consentire loro di adattarsi a nuove specie, facendo così nascere un nuovo virus.

È quello che è successo, ad esempio con l’AIDS. Un retrovirus dei primati (Scimmie) è diventato capace di infettare cellule umane evolvendo in quello che noi oggi conosciamo come HIV (Human Immunodeficiency Virus).

Ed è quello che accade con il virus dell’influenza. Se le mutazioni sono meno importanti, possono far emergere ceppi nuovi di virus che già circolano fra gli esseri umani, come avviene tutti gli anni per l’influenza stagionale.
In altri termini, possono prodursi virus che appaiono del tutto nuovi per la specie umana e per i quali non esiste immunità neanche parziale. Ciò causa lo scoppio di pandemie, come quella, gravissima, del 1918-19. Pandemia che fu designata con il nome di Spagnola perché si riteneva che il focolaio primitivo avesse avuto origine nella Penisola Iberica.
Oltre il 60,3% delle malattie emergenti è dovuto ad agenti patogeni che causano zoonosi, ovvero microrganismi che normalmente circolano tra gli animali e che, a un certo punto, cominciano a colpire anche gli esseri umani.

Due esempi significativi di questo passaggio dalle specie animali selvatiche all’uomo sono il Nipah virus, emerso per la prima volta in Malaysia nel 1999, e la SARS, nata nella provincia cinese del Guangdong nel 2002.

Il primo è normalmente presente nei pipistrelli, mentre un virus quasi identico a quello della SARS è stato ritrovato nello zibetto (Civetta o Mammifero dal pelo folto, ma anche nei barboni umani).
Nel 14° sec. si scatenò una delle più devastanti epidemie della storia, quella che fu chiamata peste nera. Essa ebbe origine dal cuore della Cina e, dopo aver attraversato nel corso di tre lustri l’Asia centrale sulle vie carovaniere, giunse nel 1346 in Crimea e nel 1347 a Costantinopoli, impiegando un altro anno per arrivare nel Sud della Gran Bretagna e altri due anni per completare la sua marcia attraverso l’Europa.

Alla fine del 2002 l’epidemia di SARS è emersa in Cina e pochi mesi dopo ha raggiunto altri sei Paesi in due diversi continenti.

Questa enorme accelerazione nella possibilità di diffusione di un contagio è senz’altro riconducibile alla maggiore facilità e rapidità con cui viaggiano persone e merci.
Si stima, infatti, che la velocità media di spostamento degli esseri umani sul pianeta sia aumentata di circa mille volte negli ultimi due secoli e che il numero di passeggeri internazionali sia andato rapidamente crescendo fino a giungere a 700 milioni per anno nel 2000, con una previsione di un miliardo per anno nel 2010.
È anche aumentato il numero delle destinazioni. Tutto ciò rende possibile a persone affette da patologie contagiose di spostarsi rapidamente in luoghi diversi portando con sé agenti patogeni.

È stata anche dimostrata la possibilità che a diffondere il contagio imbarcandosi sugli aerei non siano soltanto esseri umani, ma artropodi, vettori di microrganismi.

Anche gli accresciuti volumi del commercio, sia nazionale sia internazionale, possono contribuire alla diffusione di malattie, in particolare il commercio di cibi e di animali.
Infine, è da ricordare il ruolo delle migrazioni. I flussi migratori odierni si svolgono da Paesi a più alta vulnerabilità per l’emergenza di infezioni da Paesi poveri.
Ciò fa sì che i migranti tendano a portare con loro nei luoghi di arrivo anche una maggiore vulnerabilità alle infezioni.
Il mantenimento di efficienti strutture di prevenzione e controllo nella diffusione delle infezioni è un elemento essenziale per impedire l’emergere o il riemergere delle malattie infettive sia nei Paesi a economia sviluppata sia in quelli in via di sviluppo.

Il caso della tubercolosi illustra chiaramente questo punto. Negli anni Ottanta del 20° sec. negli Stati Uniti si è registrata una netta ripresa del numero di casi di tubercolosi, parallelamente allo smantellamento dei programmi di assistenza e controllo.

Questa tendenza è stata invertita nel decennio successivo, soprattutto grazie all’investimento in strutture di sanità pubblica e, in particolare, in servizi di terapia gratuiti che permettono una cura sotto osservazione diretta, ossia con somministrazione quotidiana dei farmaci anche presso il domicilio del paziente, o talora in strutture di ospitalità per i senzatetto.
Nonostante siano stati registrati progressi non trascurabili nell’ultima parte del 20° sec., la povertà estrema interessa tuttora una larga parte dell’umanità. Si stima che 2,8 miliardi di persone vivano con meno di 2 dollari al giorno e 1,2 miliardi con meno di un dollaro. Analizzata a livello globale, esiste una chiara correlazione tra aree in cui sono concentrate le persone più povere (Sud e Sud-Est asiatico e Africa centro-meridionale) e incidenza di infezioni.

Le guerre e, soprattutto, le loro conseguenze creano frequentemente le condizioni per l’emergere di fenomeni epidemici e, in generale, per lo sviluppo delle infezioni.

Le condizioni di vita dei profughi sono infatti caratterizzate da sovraffollamento, carenza estrema di strutture igieniche, difficoltà di accesso all’assistenza sanitaria, contatti stretti fra persone di diversa provenienza geografica. Questi elementi concorrono a far sì che in tali condizioni ¾ dei decessi siano da attribuire a infezioni.
Un altro ostacolo che si frappone alla capacità di affrontare le malattie infettive emergenti è la sottovalutazione del problema che, fino alla fine del secolo scorso, ha rappresentato un atteggiamento comune non solo all’interno della comunità scientifica, ma anche, e forse in misura maggiore, a tutti i livelli della società.

Infine, il Bioterrorismo.

L’idea che agenti infettivi possano essere usati come armi non è certo nuova, ma negli ultimi anni è cresciuta la paura che microrganismi emergenti possano essere diffusi intenzionalmente. A oggi sono stati documentati due episodi di bioterrorismo, entrambi negli Stati Uniti. Nel 1984 in Oregon una setta religiosa contaminò con salmonella i cibi di un ristorante.
Nel 2001 un terrorista inviò numerose lettere contenenti spore di antrace a personalità di rilievo. Diciotto persone si ammalarono maneggiando quelle lettere e cinque morirono. Enorme fu il panico sollevato da questo episodio negli Stati Uniti così come in altri Paesi, inclusa l’Italia.

Come abbiamo visto, ciò che rende la nostra epoca particolarmente a rischio per l’emergere delle malattie infettive è la Globalizzazione. La velocità degli spostamenti e l’intensità degli scambi di merci stanno creando le condizioni ideali per una «tempesta microbica perfetta».

Nessuna nazione si può sentire immune quando un’epidemia scoppia in un remoto angolo del pianeta, perché i microbi viaggiano tanto velocemente quanto le persone e le merci. Nello stesso tempo, però, l’interconnessione tra le diverse parti del mondo permette che si crei uno sforzo multinazionale che potrebbe limitare il rischio di diffusione di queste malattie emergenti. La rete di questi sforzi, insieme alla proliferazione globale di tecnologie Vaccini e informazioni, migliora la capacità della Sanità Pubblica di prevenire e controllare le malattie infettive emergenti.
La SARS è un esempio di come un virus che normalmente colpisce gli animali possa diventare capace di infettare gli esseri umani e di trasmettersi da persona a persona.

La promiscuità tra animali ed esseri umani in alcune zone del mondo e la velocità degli spostamenti hanno fatto sì che questa malattia, emersa all’alba del 21° sec., abbia creato uno stato di panico tra gli abitanti del mondo senza alcuna distinzione geografica.

La SARS è una malattia virale che si manifesta con una grave forma di polmonite. È causata da un virus che si trasmette attraverso le secrezioni respiratorie e fa parte della famiglia dei coronavirus, isolati per la prima volta nel 1965. Il loro nome deriva dal fatto che presentano sulla superficie una struttura che ricorda una corona. Sono suddivisi in tre gruppi: i primi due includono virus che colpiscono i mammiferi, il terzo gruppo contiene solo virus che colpiscono gli uccelli.
Normalmente questi virus provocano varie malattie negli uomini e negli animali, incluse gastroenteriti e affezioni dell’apparato respiratorio, ma, mentre i coronavirus animali causano malattie anche gravi nei loro ospiti, negli esseri umani producono normalmente un raffreddore senza febbre. Si è calcolato che i coronavirus sono responsabili del 30-40% dei comuni raffreddori che colpiscono l’uomo, secondi solo ai rhinovirus.

Il virus della SARS però non solo è diventato capace di infettare l’essere umano, ma anche di trasmettersi da una persona all’altra.

La malattia aveva cominciato a manifestarsi proprio nel Guangdong già a novembre del 2002, ma le autorità non avevano comunicato nulla alla WHO, (World Healt Organization) anche perché l’epidemia era rimasta circoscritta alla provincia cinese. Quando il virus arrivò a Hong Kong, le cose cambiarono. Qui il coronavirus giunse con un medico del Guangdong arrivato in città per far visita ai parenti. L’uomo, già malato, alloggiò in un grande hotel dove, nel giro di pochi giorni, infettò dodici persone che, a loro volta, trasmisero la SARS a decine di altre persone di diversa nazionalità.
Pandemia influenzale e influenza Aviaria.

Se il 2003 è stato l’anno della SARS, il 2005 e il 2006 sono stati gli anni dell’influenza aviaria.

In quei ventiquattro mesi si è infatti concentrato il numero maggiore di casi tra gli esseri umani: 213. L’aviaria conferma quello che si era visto con la SARS: un virus può evolvere e acquisire capacità nuove, come quella di infettare e fare ammalare la specie umana.
E questo ‘salto’ avviene laddove la promiscuità tra animali e persone è più alta. L’influenza aviaria non è una malattia nuova: chiamata peste dei polli, era stata riconosciuta dal veterinario Edoardo Perroncito nel 1878 come una grave malattia dei volatili di allevamento. Solo nel 1955 però è stato dimostrato che la malattia è causata da un virus A dell’influenza. Da allora, virus A di diversi sottotipi sono stati individuati in oltre 90 specie di uccelli selvatici apparentemente sani.

Gli uccelli acquatici, in particolare le anatre, sono i principali serbatoi del virus; sembra che lo abbiano portato per migliaia di anni senza sviluppare sintomi significativi: un ottimo esempio di adattamento di un agente patogeno al suo ospite.

Un serbatoio stabile, ma anche molto mobile: gli uccelli portano il virus per grandi distanze e lo distribuiscono in grandi quantità con la saliva, le secrezioni respiratorie e le feci. Le più comuni forme di contagio sono quella oro-fecale, quella diretta o il contatto con acqua contaminata da feci infette. Del resto, il virus può sopravvivere a lungo nelle feci, soprattutto a basse temperature.
Le pandemie influenzali precedenti sono state caratterizzate da un’elevata mortalità. La Hong Kong, che ha colpito tra il 1968 e il 1969 ed è stata di gravità contenuta, ha causato un milione di morti in più rispetto all’influenza stagionale. Inoltre, tali pandemie hanno causato elevati disagi e danni economici consistenti.

Preoccupata da questi precedenti, la WHO ha spinto i governi nazionali a prepararsi all’arrivo dell’influenza A H1N1, innanzitutto predisponendo una scorta di vaccini adeguata.

Ma la pandemia si è dimostrata diversa dalle precedenti, diffondendosi soprattutto tra i giovani e arrivando a interessare, secondo alcune stime, almeno un quarto dei bambini e degli adolescenti, nei primi mesi della sua diffusione, nelle regioni con alta incidenza della patologia. Comunque la mortalità nell’ondata epidemica del 2009 è stata bassa e sostanzialmente non diversa da quella delle epidemie stagionali.

La chikungunya in Italia

La chikungunya è una malattia causata da un arbovirus, ovvero un virus che viene trasmesso dalla puntura di artropodi, una classe di animali di cui fanno parte le zanzare. In particolare, a trasportare il virus della malattia sono le zanzare del genere Aedes, come Aedes Aegypti, che trasmette anche la dengue, o Aedes albopictus, ovvero la zanzara tigre.

Microrganismi resistenti ai farmaci: la tubercolosi XDR

Farmaci e vaccini contro le malattie infettive sono sempre più efficaci. Tuttavia, proprio nel momento in cui le cure migliorano, nasce una nuova minaccia per la nostra salute: l’emergere di microrganismi resistenti all’azione dei farmaci.
Lo sviluppo di ceppi resistenti può essere considerato una risposta evolutiva alla pressione selettiva dei farmaci, quando questi non riescano a sopprimere completamente la riproduzione dei microrganismi. Quindi, fattori che possono favorire questo fenomeno sono la prescrizione inadeguata dei farmaci anti-infettivi (per es., dosi inappropriate o scelta di farmaci solo parzialmente efficaci), la loro assunzione irregolare o l’abbandono della terapia, la scarsa qualità dei farmaci utilizzati.

Malattie infettive e clima

È ormai un dato di fatto che il clima sta cambiando. L’IPCC, come detto (Climate change), stima che finora il pianeta si sia riscaldato di 0,7 °C e prevede nel corso del 21° sec. un rialzo termico a livello mondiale di circa 3°C.
Questo innalzamento delle temperature avrà un impatto anche sulla nostra salute. Anzi, lo sta già avendo: la WHO (World Health Organization) ha stimato che gli effetti dei cambiamenti climatici prodotti dalla metà degli anni Settanta alla fine degli anni Novanta del 20° sec. hanno causato 150.000 morti nel solo 2000 e quindi, per deduzione, un numero analogo ogni anno. Secondo un rapporto stilato da una commissione del governo britannico, però, questi numeri sono destinati a salire e nel 2030 la mortalità raggiungerà oltre le 300.000 persone l’anno.

La Malaria è uno dei grandi problemi di sanità pubblica del mondo.

È causata da quattro specie diverse di un protozoo chiamato plasmodio. Il plasmodio passa da una persona all’altra attraverso la puntura di una zanzara, l’anofele, di cui esistono numerose specie distribuite in aree geografiche diverse. La malattia si presenta con periodi ricorrenti di febbre alta accompagnata da brividi. Ogni anno causa da 400 a 500 milioni di casi e oltre un milione di morti, per lo più bambini.
Dopo un periodo in cui sembrava sotto controllo, negli ultimi anni la malaria è tornata a colpire duramente in varie parti del mondo, anche in zone dove normalmente non era presente a causa delle condizioni climatiche sfavorevoli alla presenza della zanzara anofele, come nelle aree montuose dell’Africa. Scienziati hanno sviluppato alcuni modelli per predire quale sarà l’effetto dei cambiamenti climatici sulla malaria nei prossimi anni.

Molti di questi modelli prevedono una moderata espansione geografica della potenziale trasmissione della malattia nei prossimi trent’anni, con una trasformazione più evidente verso le fine di questo secolo.

Uno scenario disegnato sulla base dei dati forniti dal progetto (MApping malaria Risk in Africa) e dei modelli di cambiamento climatico prevede che, se la popolazione non aumenterà di numero, nel 2100 in Africa le persone esposte alla malaria saranno il 16-28% in più al mese rispetto a oggi (Tanser, Sharp, le Sueur 2003). Secondo un’analisi dei costi economici dei cambiamenti climatici commissionata dal governo britannico, un aumento di 2°C potrebbe esporre dai 40 ai 60 milioni di persone in più alla malaria nel solo continente africano.
La Dengue, invece, è considerata la più importante delle malattie virali trasmesse da artropodi. I sintomi dell’infezione sono febbre, mal di testa, dolore ai muscoli e alle ossa.

In alcuni casi la malattia evolve provocando emorragie. Il tasso di mortalità per la dengueemorragica è del 5%.

La malattia è causata da quattro specie di un virus chiamato flavivirus, trasmesso da una persona all’altra attraverso la puntura della Aedes Aegypti, che si nutre soprattutto di sangue umano e vive per lo più nelle zone urbane. Il numero delle infezioni è cresciuto enormemente in tutto il mondo negli ultimi anni. Basti pensare che prima del 1970 solo nove Paesi avevano sperimentato epidemie di questa malattia, mentre oggi la dengue è endemica (ovvero è costantemente presente) in oltre cento Paesi sparsi tra Africa, America, Mediterraneo orientale, Sud-Est asiatico e Pacifico occidentale.

Alcuni ricercatori hanno calcolato cosa accadrebbe nel caso di un riscaldamento del pianeta: tutti i modelli prevedono un sostanziale aumento della popolazione a rischio di ammalarsi di Dengue. Secondo uno dei modelli, per es., nelle regioni in cui la malattia è già presente un aumento della temperatura di 1°C determinerebbe un aumento del rischio di epidemia tra il 31% e il 47%.
Un aumento di 2°C provocherebbe un innalzamento del rischio di epidemie di Dengue alle alte latitudini e in montagna e una maggiore durata della stagione di trasmissione.
Quanto predetto vuol essere soltanto una esposizione sommaria della situazione di pericolo da cui i vaccini sono la sola possibile garanzia di salvataggio.

Nella lista delle malattie infettive più comuni troviamo:

  • Colera
  • Diarrea del viaggiatore
  • Difterite
  • Ebola
  • Epatite A, B e C
  • Gastroenteriti
  • Infezioni delle vie urinarie
  • Influenza
  • Legionellosi
  • Malaria
  • Meningite
  • Morbillo
  • Parotite
  • Pertosse
  • Poliomielite
  • Polmonite
  • Rosolia
  • Tubercolosi
  • Varicella

Concludo con un fraterno richiamo a tutti coloro vittimizzati da proseliti Politici contrastanti di disinformati che mettono in pericolo i propri cari e la Comunità nel contestare i Vaccini, unica arma di salvataggio nel superare sofferenze e morti premature di fronte al costante pericolo di infezioni virali.

Anthony Ceresa Italia International Association.

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