Caterina de’ Medici: una regina per la Francia

147

«Qui, nel castello di Blois, nella Valle della Loira, oggi 5 gennaio 1589, quasi al termine della sua lunga vita, ascolteremo le parole di una delle più potenti e sfortunate regine che la storia ricordi: Caterina De Medici».

«Caterina ci parli, per cominciare, della sua vita di donna, di moglie e di madre»

«Già a pochi giorni dalla nascita ho perso ambedue i miei genitori. La mia infanzia è trascorsa tra Roma e Firenze fino alla reclusione nel convento delle Murate a cagione delle alterne vicende della mia casata. La mia vita era appesa a un filo per l’odio dei fiorentini nei confronti degli assedianti inviati dall’imperatore spagnolo per ricondurre la città all’ordine, abolire la repubblica e ristabilire il potere mediceo»

«Siete andata in sposa giovanissima»

«Non ho potuto decidere, io ero solo uno strumento politico nelle mani dei potenti: del re di Francia con le sue mire espansionistiche sull’Italia e di mio cugino Papa Clemente VII che riteneva vantaggioso legare la sua famiglia alla casa regnante dei Valois»

«Tuttavia avete amato molto il vostro sposo»

«L’ho amato intensamente, l’ho amato dal primo istante che l’ho incontrato a Marsiglia, dopo la lunga e faticosa traversata in mare, quando ho dovuto lasciare la mia splendida Firenze. Ma non sono stata ricambiata, lui ha sempre preferito quella sua puttana, Diana, nonostante avesse vent’anni più di lui. Ho dovuto accontentarmi del ruolo di fattrice e ospitare nel letto il mio grande amore solo quando lei ve lo spingeva, col compito preciso di fornire eredi al regno»

«Si dice che fosse molto bella»

«Bella certo, capace indubbiamente di sostituire la madre che il mio malinconico Enrico non ha avuto quando giaceva prigioniero nelle segrete del re di Spagna, in quei lunghi cinque anni, quasi privo di cibo, di luce e soprattutto dell’amore necessario ad ogni bambino»

«Ma siete stata bene accolta presso la corte di Francesco I»

«Lui già vedeva in me, seppure giovanissima,  le doti politiche del mio bisnonno Lorenzo, che la storia ricorda col soprannome di “Magnifico”,  mentre intuiva nel figlio una più scarsa capacità di governare un vasto paese come la Francia. Uomo di cultura, come me amava l’arte e la scienza. Fu generoso mecenate di grandi artisti fiorentini come Leonardo da Vinci e Benvenuto Cellini.  Sapeva divertirsi, amava il ballo e la musica, ma soprattutto amava cacciare. Per seguirlo nelle sue scorribande ho inventato la cavalcata all’amazzone e introdotto l’uso delle culottes. Ho ingentilito la corte con la raffinatezza fiorentina, introdotto l’uso della forchetta, arricchito la cucina francese di nuovi cibi e ricette trasformando le loro abbuffate in banchetti con un preciso cerimoniale»

«Non altrettanto apprezzamento avete avuto invece dal popolo francese»

«“La mercantessa” mi chiamavano, dimenticando le nobili origini di mia madre, discendente dei Borboni e l’importanza politica dei Medici che hanno dato alla storia grandi governanti e mecenati e perfino due Papi. Sono anche stata a lungo disprezzata per la sterilità che ha caratterizzato i primi dieci anni del mio matrimonio, dal ripudio mi salvò solo l’affetto del re Francesco»

«Gli anni successivi vi hanno invece concesso una prole numerosa»

«Numerosa e sfortunata. Sette dei miei nove figli sono morti in giovanissima età. Riesci ad immaginare sofferenza più grande per una madre che quella di sopravvivere ai propri figli? E i due che mi sono rimasti sono fonte di grandi dispiaceri, conducono vite dissolute e dimostrano scarso acume diplomatico in questi tempi di contrasti religiosi e pesanti interferenze estere nella vita politica francese»

«Voi invece avete governato per trent’anni, ma non siete stata molto amata. Vi chiamano “la regina nera” e non solo per il lutto che avete indossato dopo la morte di vostro marito»

«La morte di Enrico mi ha straziato il cuore e non ho potuto più amare nessun uomo dopo di lui. Ma il mio dovere era quello di conservare il trono dei Valois e ad esso ho dedicato tutta la mia vita. Ne è prova il viaggio, durato due anni, attraverso tutta la Francia, che ho intrapreso con mio figlio Carlo IX per testimoniare l’amore del re verso i suoi sudditi. Dio sa quanto ho voluto la pace, quanto ho combattuto per sedare le lotte di religione tra cattolici e ugonotti. Ho concesso libertà e dispensato onori ora a questi, ora a quelli. Ma è stata una lotta impari contro le potenti famiglie nobili che desideravano tornare ad un potere di tipo feudale e le potenze di Spagna e Inghilterra che foraggiavano le rivolte»

«Tuttavia il vostro nome è legato alla tremenda strage della notte di San Bartolomeo che vide l’uccisione per le strade di Parigi e della Francia intera di migliaia di ugonotti»

«Ho dato in sposa mia figlia Margot al Navarra per riunire cattolici e protestanti, ho pensato che fosse la soluzione pacifica per risolvere il conflitto, ma evidentemente i tempi non erano ancora maturi per queste sottigliezze politiche. Le forze in campo desideravano solo rientrare in possesso del potere che la corona aveva loro tolto accentrandolo nella figura del re e non hanno esitato a provocare la sollevazione popolare. Mai avrei voluto l’eccidio che si è verificato contro la mia volontà e che ha macchiato indelebilmente il mio nome nella storia»

«Per terminare l’intervista desidera lasciare un messaggio agli uomini del futuro che la stanno ascoltando?»

« Ho tanto sofferto in vita, come figlia, come moglie e come madre. Vorrei almeno che fosse riabilitato il mio nome e il mio ruolo nella storia: ho portato cultura e civiltà in Francia, difeso il trono dei Valois come il mio dovere mi imponeva, amato la pace e usato il potere solo per porre fine ai conflitti che a lungo hanno tormentato questo regno che ho imparato ad amare».

Nella foto: “Matrimonio di Caterina de’ Medici e di Enrico, duca di Orléans (28 ottobre 1533)”, Jacopo da Empoli, 1600, Firenze, Galleria degli Uffizi