Il Nobel della tristezza

Ho sposato l'incertezza, sono sempre in fuga da qualcosa per cercare qualcosa.

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Il Nobel della tristezza…

Anche stavolta Carla è partita da Roma portandosi dietro il tormento delle figure. Camminando per via Margutta colorata da cento pittori pensava “sono candidata al Nobel della tristezza”. Mi sarebbe piaciuto nascere come quei volti e quei corpi che camminano normali, che non si frantumano il dentro con mille interrogativi, che fanno scorrere la loro vita, mentre io sento dentro un demone che mi brucia. Ieri e oggi si intrecciano, mentre si muove tra le tele. Oggi dietro l’angolo di Via Margutta scorre il 77, il film si fa in bianco e nero,”colpa mia, colpa tua, colpa degli ormoni della chimica”. Lui le consegna le fotocopie di un arsenale di lettere.

“Madonna che fiume di parole”, pensa nel prendere una valigetta.

Un arcobaleno di parole, ne guarda due con emozione. Sorride due cose mi sono chiare, la prima che la scrittura ha sempre popolato la mia vita e…lui: “Scorre un anno, scorre la storia collettiva e il nostro personale, le discussioni politiche, le fratture, gli avvenimenti e poi noi due, Volevo farci un libro, ma poi ho pensato la scrittrice sei tu, fanne un buon romanzo tu, io sono il destinatario, che era un po’ arido di parole, so però che mi facevi sentire vivo, peccato che tu abbia bruciato le mie”. Carla lo interrompe: “Ci siamo visti una mattina, un attimo dopo che eri sparito senza darmi un perché. Attorno a noi era cominciata la caccia alle streghe, le perquisizioni a catena nell’area dei collettivi.

Bastava trovare un’agendina con i numeri dei telefoni e partiva un’ondata di perquisizioni.

Nelle lettere non c’era nulla di sovversivo, ma tu mi hai chiesto di bruciarle. Ho obbedito, tu dicevi che le tue viaggiavano seppellite chissà dove. Che tuffo al cuore quando mi hai chiamato “Ariel ho ritrovato una valigetta con tutte le tue lettere”. Già Ariel così hai memorizzato il mio numero di cellulare, Ariel una gallerista, quando sono tornata nella tua vita, mi hai fatto entrare come una clandestina, dicevi che il tuo presente non avrebbe potuto capire il tuo passato. Hai bussato tu dopo 40 anni, mi chiamavi tutti i pomeriggi come un clandestino, siamo stati un po’ virtuali, ci siamo sentiti come se il 77 fosse dietro l’angolo. Ci siamo incontrati nel reale dopo tanti se e ma, avevo percepito le tue paure, se scattasse la formula chimica che ci aveva attratto, avresti messo in crisi le certezze del tuo oggi. Io ero quella che rischiava di meno.

Ho sposato l’incertezza, sono sempre in fuga da qualcosa per cercare qualcosa.

Mentre parlano, sul messaggio sul cellulare di Carla: “Ci vediamo a via Giolitti, ma come amici…”Carla con le lettere in mano, “la seconda certezza dopo la scrittura che ha sempre popolato la mia vita e non mi abbandona mai, è il “Premio Nobel alla tristezza”. Correva il 77 attorno a me si discuteva se fosse possibile sessualizzare le amicizie, il sesso libero correva come un fiume ed io invece scrivevo fiumi di lettere ad un compagno militare sbattuto lontanissimo il mio sesso si nutriva con le lettere e una cornetta di un telefono. Correvo a casa per quella telefonata, i cellulari non erano arrivati, bisognava aspettare la tua voce a casa.

Anche oggi attorno a me scorre un fiume di sesso, ma io come allora corro dietro a storie tormentate.

“Ciao Ariel, abbi cura di te, aspetto il romanzo Ariel”. Camminando in Via Giolitti Carla si interroga. Forse è ora di dare un taglio decisivo anche a questo presente, questa altalena incerta. Lui la guarda: “Un caffè …”Ci sono diversi posti dove prenderlo, ma lui cammina, conducendo il viaggio. Si allontanano da Termini, il bar Hola, sarà un caso che siano arrivati qui. Hola pensa Carla è il modo di salutarla, si consumano in silenzio, lei vorrebbe dirgli “Gli amici parlano”, ma contemporaneamente pensa: “che è sta minchiata che siamo amici”.

Contemporaneamente nel silenzio legge: “Modi eleganti e intellettuali per lasciarsi”.

Guarda la sua moto e il casco. Lui: “Hai impegni?” Lei: “Voglio partire ad un orario decente per arrivare a Sabaudia. Devo andare tra le mie cose, per un po’ non potrò andarci, sei un po’ distratto. Giorni fa ti ho detto che partirò per un corso di letteratura a Praga: “Lui le infila il casco, lei non è mai riuscita a chiuderlo sotto. Direzione Sabaudia, un po’ di freddo è piacevole, non aveva previsto di andare a Sabaudia in moto, la sua maglia è nello zaino.

La moto è una grande alleata, per non parlare.

Sul lungomare nel chiosco preferito da Carla davanti a due Spritz lui dice: “Buona vita”. Carla lo guarda. “Odio questa frase fa il paio con “abbi cura di te” cammina in tandem con “non è colpa mia, non è colpa tua, sono gli ormoni della chimica in sciopero. L’altra sera Manuela mi ha taggato in un post “Modi eleganti per lasciarsi da intellettuali del terzo millennio.” Lui incassa e replica: “Non sono un intellettuale io posso dare proprio poco, molto poco”. Carla capisce che lui vuole lasciare ancora una finestrella aperta, trincerandosi dietro quel poco.

“Io ho sempre dato, non volevo disturbarti con questo viaggio a Sabaudia”.

Si avvicina alla cassa, paga i due Spritz. Lui la legge come la metafora del capolinea di questa storia, mentre Carla si sta allontanando. “Ti accompagno”, le urla. Carla risoluta: “Non perdo nessun treno, questa volta l’orario del treno lo decido io”. Lui “Allora mettiamola così questa volta sono io a disturbarti, voglio accompagnarti”. Carla a casa, sul terrazzo guarda il mare notturno, apre lo zaino trova un libro. Baci, Cento modi di dire ti amo DI Fabio Fazio. Carla guarda il libro, lui le parla, lasciandogli libri.

Guarda il mare, ti amo è una questione linguistica, di idiomi differenti, tu parli l’indi e lui il curdo, tu parli il giapponese e lui l’arabo, brinda al Nobel della tristezza.