Linguaggio del silenzio.
Cos’è il silenzio? In senso molto superficiale si potrebbe affermare che si tratta di un vuoto, un nulla nell’individuo privo di funzioni o meccanismi precisi.
In realtà è molto facile smentire quest’affermazione: il silenzio nasce a seguito di meccanismi e funzioni peculiari, e si intuisce quanto in realtà esso sia essenziale all’essere umano e pregno di pensieri e nuovi sviluppi del proprio sé. In questo articolo verranno analizzati alcuni aspetti del silenzio che interviene tra due persone.
Quanti tipi di silenzio esistono? In questa fase di riflessione, ne vengono individuati tre. Il silenzio dialogico, silenzio monologico e il silenzio nel gruppo. Il primo interviene nel corso di un dialogo tra due persone, il famoso silenzio imbarazzante di Pulp Fiction, il secondo trova posto quando si è soli, il terzo quando un individuo all’interno del gruppo rimane in silenzio. In questo breve trattato, ancora incompleto e sommario, verranno analizzati questi tipi di silenzio.
Silenzio nel gruppo.
Nel gruppo, capita spesso che vi sia un individuo che rimane in silenzio. Costui sarà bersaglio delle domande degli altri, che gli chiederanno cos’abbia che non vada. Lui risponderà alzando le spalle, con l’imbarazzo di un adolescente che fruga nella biancheria della sorella. In realtà, il silenzio di un singolo nel gruppo è spesso, se non sempre, indicatore di un presenza ossessiva nella mente dell’individuo in silenzio. L’ossessione è capace di crescere e divorare ogni altro pensiero nella mente dell’individuo. E, per quanto possa essere dovuta a un’apparente inezia, può arrivare a inglobare la voglia dell’individuo, impedendogli di relazionarsi con altre persone o di intraprendere qualsivoglia attività, indurlo in una pericolosa apatia e, nei peggiori casi, al suicidio.
Il suicidio determinato da un’ossessione, come del resto si suppone si possano classificare tutti i suicidi eccetto quelli di protesta, è solo la potenziale fase finale del silenzio di un individuo all’interno del gruppo.
Non è che chi rimane in silenzio in un gruppo debba per forza di cose suicidarsi, infatti ho parlato di potenziale fase finale: di sicuro però quell’individuo, che Dostoevskij indicava nelle figure dell’osservatore o del sognatore, è soggetto a un qualche tipo di ossessione. Esistono diversi gradi di ossessione, e ogni individuo reagisce in maniera diversa a un pensiero ossessivo. Chi con lo stoicismo, ciarlando e parlando più degli altri, chi liquiderà il pensiero dopo poche ore di silenzio, e chi, più sensibile, ne rimarrà preda per un tempo indefinito. Crescendo, l’ossessione tende a convincere che non esistono persone in grado di aiutare, e impedisce anche l’intraprendere azioni volte a distruggere l’oggetto dell’ossessione.
Essa si autoalimenta cibandosi della sanità mentale dell’individuo, che agli stadi iniziali diventa progressivamente incapace di relazionarsi con il gruppo.
Costui, trovandosi in coppia, potrà arrivare ad essere affabile ed esprimere la propria personalità celata dall’ossessione, poiché penserà di scoprirsi troppo nell’esporre la propria ossessione in coppia. Nel momento in cui si sentirà protetto da un gruppo ciarliero, in cui la conversazione non languisce mai, la sua ossessione si sentirà sicura e aggredirà di nuovo la sua mente, impedendogli di partecipare a conversazioni. Vi sono individui, dotati di una particolare influenza sugli altri (quelli che potremmo chiamare “leader naturali”, pur se non si fregiano mai di autorità) il cui silenzio nel gruppo potrebbe determinare la morte della conversazione. Tutti i membri del gruppo che risentono la sua influenza avvertiranno che manca l’approvazione del leader nei confronti della situazione vissuta a causa di qualche sua ossessione, e si sentiranno in imbarazzo a provare felicità finché la sua presenza nefasta non si sarà allontanata.
Silenzio dialogico.
Occorre individuare il meccanismo che porta la conversazione tra due persone ad arrestarsi, e quali effetti i conseguente silenzio produce nella mente dei parlanti. La loro rispettiva memoria, durante una conversazione, comunica attraverso il linguaggio inteso non come mezzo ma come abitazione (cfr. Derrida), e ogni parola dell’altro attiva la memoria dell’interlocutore facendo affiorare nuovi ricordi e associazioni di idee che verranno tradotti in parole da riferire (la conversazione non rappresenta mai un “dire”:essa è sempre un “riferire”,giacché il pensiero originale che sarebbe il “dire” è frutto di qualcosa già vissuto e che viene comunque rimaneggiato radicalmente ben prima di arrivare alla parola) all’altro.
Su questo meccanismo apparentemente perfetto vigila e interviene la censura psichica, individuata da Freud, che nel bambino è del tutto assente e cresce negli anni con l’affollarsi delle inibizioni imposte dalla società (inibizione mai naturale – l’uomo nasce senza inibizioni e di conseguenza la stato brado rappresenta la sua condizione naturale, solo successivamente acquisisce le regole formatisi in millenni di convivenza e progressione delle cosiddetta “civiltà” e conseguentemente inibizione imposta).
Il meccanismo della conversazione si inceppa quando la censura interviene e dice: ”No, questo non lo puoi dire”.
Nel giro di infinitesimi di secondo, il cervello vaglia tutte la possibili motivazioni e seleziona il perché non si possa esprimere quel pensiero:
- perché l’altro ne sarebbe ferito;
- o perché l’altro ne sarebbe offeso;
- e ancor perché l’altro lo giudicherebbe sciocco, immaturo, volgare.
Esistono diversi gradi di sincerità con se stessi, ma in generale questa censura non interviene mai in funzione del sé (cfr. dopo silenzio fonologico senza fine di comunicazione = il sé non ha problemi a esprimere assurdità, oscenità, incoerenza o astrattezze), ma sempre in funzione dell’altro e del suo giudizio. Così la comunicazione si blocca. Entrambi i parlanti avvertono in questo silenzio il sopraggiungere di qualcosa che a causa delle loro inibizioni sarebbe oltraggioso riferire.
Questa consapevolezza porta la loro memoria ad affannarsi alla ricerca di un aggancio alternativo, che faccia proseguire la conversazione a scapito dell’imbarazzo.
Ma la memoria in quel momento è, appunto, inceppata, ed è come un motore che non gira bene perché ci vuole olio. Il suo lavoro è stato interrotto bruscamente e ha bisogno di un certo tempo per recuperare un altro filo e soffocare tutti i pensieri che non possono essere espressi. Il tempo di mettere quest’olio, e la conversazione riprende normalmente, e la memoria si affretta ad obliare quell’istante di imbarazzo. Ma spesso il collegamento sarà affrettato e artificioso, e la conversazione che segue, almeno fin quando la memoria non è tornata a pieno regime, sarà chiaramente forzata a entrambi.
L’esempio che segue è ispirato ai Nodi di Roland Laing, un’opera che esprime benissimo questi concetti, arrivando a discernere i pensieri di fondo che stanno dietro le parole tra due persone: Martino e Camilla sono ottimi amici. Martino sa che Camilla sa che Martino la ama, ed entrambi sanno che Camilla non ama Martino. Martino pensa che Camilla sappia, ignorandolo e continuando a ferirlo. Quando sono insieme li si potrebbe chiamare fratelli o amanti.
Ma quando parlano, affiora lo spettro del sentimento di Martino che Camilla non ricambia.
Martino teme che Camilla se ne vada (riflesso di tutti gli uomini dovuto a un complesso di Edipo che non si risolve mai completamente, dovuto alla paura che la madre li lasci soli nel buio dopo il bacio della buonanotte cfr. Proust, La ricerca del tempo perduto, La strada di Swann) e che Camilla non ritorni più. Camilla tiene a Martino e non vuole che se ne vada. Ascolta il suo silenzio che sa di non poter ricambiare: e pensa, avendo paura di perderlo, che la cosa migliore sia tacere. Pochi istanti dopo comincerà a parlare delle sue scarpe nuove.
Silenzio monologico
Il silenzio monologico si può dividere in due categorie: silenzio monologico con fine di comunicazione e silenzio monologico senza fine di comunicazione. Entrambi presuppongono comunque l’esistenza di un dialogo, che è il dialogo con sé stessi. Come dice Pirandello, come si può essere soli con se stessi? La stessa semantica della frase ci rivela questa contraddizione, quindi di fronte a noi si proietta la nostra stessa immagine che comunica con noi. L’essere umano nasce per comunicare e rapportarsi col mondo circostante, e questa esigenza di comunicazione non si interrompe neanche con la solitudine, che continua in realtà ad evolvere il nostro pensiero.
Ciò che distingue i due tipi di silenzio monologico è il fine relativo al silenzio. Se il silenzio nasce da una riflessione che si ha intenzione di riferire ad altri individui, si tratta del primo tipo. In questo caso entrano in gioco gli stessi meccanismi del silenzio dialogico, che portano a impedire la formazione di un pensiero che oltraggi gli altri individui a seconda che si offenda il buoncostume, la morale, la sfera emotiva oppure sveli una parte di sé che si vuole tenere nascosta, che è la motivazione di base di questa censura, che racchiude tutte le altre: la paura di mettere a nudo i propri pensieri per timore di un giudizio.
Ma come ogni persona nuda avrà le stesse caratteristiche di ogni altra persona dello stesso sesso, così i pensieri nudi degli individui si assomigliano tutti e fanno parte di un patrimonio inconscio comune.
L’esigenza comunicativa può esprimersi in vari modi: desiderio di rendere la persona amata partecipe di quel che si è fatto durante il giorno, il desiderio di scrivere, poetare, condividere sui social. Ma la censura è sempre pronta a mettere un freno: chi mai scriverebbe sui social di aver sognato un conoscente in atteggiamenti osceni? Eppure sono esperienze che chiunque vive. Schiller esprimeva questo pensiero in una lettera a un poeta che si lamentava della mancanza di ispirazione (cit. indiretta) dicendogli che la mancanza d’ispirazione era dovuta all’incapacità di eludere la guardia posta all’uscita della sua mente.
Chi è in grado di riversare la propria anima nella comunicazione, scoprirà che quell’anima appartiene a tutti, anzi, è l’anima di tutti.
Quando la censura viene a mancare si parla del secondo tipo di silenzio monologico. Esso è un mare placido. I pensieri che vengono generati al suo interno non verranno mai comunicati all’esterno e ciò da libero sfogo all’immaginazione, che diventa totalmente priva di inibizioni. Questo è lo stato mentale che sopraggiunge nel dormiveglia o durante la masturbazione. Nei sogni interviene un diverso tipo di censura e deformazione, tornando a Freud, per celare a noi stessi la nostra natura più turpe e completamente, in senso primordiale, umana. Una natura che è stata celata sotto molteplici e millenari strati di silenzio.
Nota sulla categoria filosofica di Heidegger che parlava della mancanza di silenzio dalla società. Quindi lo classificherei, appunto, sotto una categoria “psicologia”. Anche se non sono competente in materia. “Cultura”, invece, non mi sembrava appropriato.