Roba da non credere. Ovviamente secondo il punto di vista di noi contemporanei. Per loro era cosa di tutti i giorni.
Facciamo un passo a ritroso e torniamo a qualche secolo fa, immaginando di dover costruire a tutti i costi un bel maniero, in apparenza per ristabilire la tranquillità cittadina violata da continui disordini, in realtà per imporre il nostro potere sulla comunità urbana.
Vediamo: a poche decine metri dal sito prescelto insistono da secoli le rovine di un anfiteatro romano. Per carità, niente di grandioso, solo paragonandolo al Colosseo! Ma tantʼè. Allora un pensiero maligno guizza come un pesciolino nella nostra mente.
Eureka! grideremmo ai quattro venti: abbiamo davanti a nostri occhi la soluzione. Ma sì, utilizziamo questi quattro sassi che intralciamo la viabilità e si adagiano, guarda caso, sul pendio che porta nel luogo dove sorgerà il futuro castello.
Vero. Abbiamo inventato, ma non di tanto. Allʼincirca, infatti, è questo il ragionamento fatto nelle segrete stanze di Santa Romana Chiesa, nella seconda metà del ʼ400, al fine di sedare le lotte intestine tra le famiglie più in vista di Tivoli.
E così, oggi, quei quattro sassi, che proprio quattro non erano – oggi, invece, sì, dopo il saccheggio perpetrato allʼepoca della costruzione di quella che sarà chiamata ʻRocca Piaʼ, in onore appunto del papa Pio II del casato Piccolomini – fanno bella mostra di sé, non appena si arriva nella piazza principale della città, Piazza Garibaldi, se si proviene da Roma.
Quel che è rimasto della struttura originaria dellʼanfiteatro fu scoperto, dapprima, nellʼimmediato dopoguerra, a seguito dei lavori per una sede viaria, che fu interrotta proprio in occasione dellʼaffioramento in superficie di alcuni ruderi, e successivamente negli anni Novanta del secolo scorso, su iniziativa della Provincia di Roma, promotrice di una campagna di scavi ad hoc, ai fini della valorizzazione del patrimonio archeologico cittadino, nonché del Comune, che ha curato la procedura amministrativa di acquisizione al patrimonio pubblico di una porzione – nel tempo diventata di proprietà privata – della intera area sulla quale insisteva… lʼ Anfiteatro di Bleso!
Esso, che aveva una superficie di quasi mezzo ettaro, di forma ovale, con lʼasse maggiore di 90 ml. e quello minore di 50 ml., è da far risalire al II secolo d. C., in piena età epoca adrianea.
Due lapidi raccontano quanto segue: la prima, che un certo M. Tullius Blesus – da qui il nome – diede il proprio contributo finanziario, pari a 200.000 sesterzi per la inaugurazione dellʼopera; la seconda che un certo M. Lurius Lucretianus sostenne il finanziamento di un combattimento di uomini con animali, nel contesto di una finta caccia e di incontri tra gladiatori.
Attualmente il sito, pur insistendo nella zona più frequentata di Tivoli, è un poʼ trascurato rispetto a qualche anno fa, quanto alla promozione di spettacoli, a discapito di altri siti archeologici sparsi nel Centro Storico: uno su tutti, il Santuario di Ercole Vincitore. Si sa, scelte politiche di chi si avvicenda nellʼamministrazione pubblica.