Non sei mai dove ti vedi

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Quando andavamo al liceo odiavo i compiti in classe d’italiano. Quei tremendi momenti in cui leggevamo le tracce mentalmente, e sapevamo di avere solo due ore per scrivere almeno tre colonne di foglio protocollo. E allora mi mettevo le mani tra i capelli, sperando che massaggiandomi le tempie, qualcosa nella mia testa sarebbe arrivato.

Invece niente.

Passavo decine di minuti provando a visualizzare il mio qualcosa con gli occhi della mente, eppure appena mi sembrava di averlo trovato, immediatamente svaniva nel nulla, lasciandomi di nuovo nel buio e ancora più confusa di prima. Poi guardavo verso di te, i tratti forti e impetuosi della tua penna contro il foglio scuotevano il banco fino a farlo tremare. Appeso al muro davanti a noi c’era un grosso orologio bianco, uno di quelli classici, che segnano le ore con le lancette grandi e imperiose, quelli che pur volendo, non puoi fare a meno di vedere.

Quelli che sembra stiano lì con il solo scopo di giudicarti. “Affrettati, che il tempo scorre”, sembrano dirti. “Che la fine è vicina”, continuano. La fine, ripetevo tra me e me.

Se non conoscevo neppure l’inizio, come avrei potuto scorgere la fine?, mi chiedevo. Allora rimanevo lì, in attesa di un’idea o un’ispirazione che forse non sarebbero arrivate mai.
Avrei voluto chiederti un consiglio, domandarti quale fosse il tuo segreto, come fosse possibile che tu avessi sempre qualcosa da dire, qualcosa da scrivere. E penso che dovette essere in uno di quei giorni, tra il ticchettio dell’orologio e una traccia da sviluppare, la tua penna che si muoveva fulminea e il mio sguardo vacuo un po’ perso nel vuoto.
Sì, fu allora che capii quale fosse il tuo segreto. Sapere che non siamo mai quello che crediamo.

Per la prima volta mi fermai a riflettere su quanto volubili e fuggenti siano le nostre certezze, le nostre convinzioni, i nostri desideri.

Fino a quel momento avevo sempre pensato di non poter scrivere. Ma perché?, mi chiesi. Concentrai la mia attenzione su quel foglio bianco, che aspettava solo di essere riempito di emozioni, parole, frasi. Pensai che avrei potuto guardarlo per ore pensando al mio futuro, e che non mi sarei mai stancata di farlo. Purtroppo guardare fu tutto quello che potetti fare, così il foglio bianco era, e bianco rimase, anche al momento della consegna.

Ti ricordi di quella sera, mentre eravamo sdraiate sul letto di casa tua dove avremmo dormito insieme?

-Ancora non sai che cosa fare dopo il liceo?- mi chiedesti. Io aspettai qualche secondo prima di rispondere, cercando le parole giuste per motivare l’incredibile risposta che stavo per darti. Ma a me le parole non venivano, lo sai. Così mi limitai a risponderti.

-La scrittrice- dissi.

Tu mi guardasti, incredula e stupita esattamente come avevo previsto.
-Ma se durante i temi non fai altro che fissare l’orologio per tutto il tempo e alla fine consegni sempre in bianco?-
Avevi ragione, però non te lo dissi. Ti guardai facendo un’espressione buffa e alla fine scoppiai a ridere dicendo:
-Scherzavo!-. Anche tu ridesti, e per un attimo dimenticai che quello che ti avevo detto era vero. Sapevo che non sarebbe stato facile, che una persona come me abituata a comunicare di gesti e sguardi non avrebbe saputo neanche da che parte iniziare con una penna in mano. Ma pensavo anche che tra l’essere e la volontà ci fosse solo un piccolo spazio, che avrei potuto riempire in un qualsiasi momento.

Ero certa che quando avessi voluto tirare fuori le parole, a furia di cercare le avrei trovate.

Così ho iniziato questo viaggio alla scoperta di me stessa e di quella storia meravigliosa che ero certa un giorno di riuscire a raccontare. In questi anni sono stata mille persone diverse e ho sentito le loro voci, i loro pensieri, ho fatto in modo che ognuna di loro avesse qualcosa di molto speciale da raccontare. Spesso mi capitava che non sapessi più chi ero. Ma questa sensazione durava solo pochi minuti, perché alla fine me lo ricordavo, me lo ricordavo sempre. Ero una scrittrice, anche se ancora non riuscivo a scrivere più di sette frasi di fila. Eppure io continuavo a sentire qualcosa di grande e luminoso farsi strada dentro di me, una storia infinita e meravigliosa di cui un giorno avrei scoperto l’inizio, e anche la fine.

Forse appartengo alla categoria degli scrittori che non scrivono, sempre se esiste.

O forse, in fondo in fondo, un po’ ci sono riuscita a realizzare il mio sogno, altrimenti come ti spieghi questa lettera che ti sto scrivendo ora? Ci sono scrittori che parlano d’amore, altri di magia, scrittori che studiano decine di libri prima di diventare quello che sono, altri invece che un giorno d’inverno guardano una foglia cadere da un ramo e decidono di farne una poesia, e poi finiscono con il comporne tante altre.
E alla fine ci sono io e quelli come me, se ce ne sono. Noi che vorremmo scrivere con tutto il cuore, e che ogni giorno sentiamo crescere dentro di noi fantastiche emozioni e bellissime storie, ma senza riuscire mai a vederle fino in fondo.

Noi che per tutta la vita appariremo agli altri con delle penne in mano davanti a un foglio bianco, e forse sembreremo un po’ strani o un po’ curiosi, ma sono certa che qualcuno si accorgerà di quanto quel foglio bianco sia già incredibilmente speciale, anche senza macchie di sbavature né tratti d’inchiostro.

Penso spesso a quella ragazzina che ero, con tanti sogni e progetti in mente, certa di poter scalare le montagne, quando non sarei neanche riuscita a sopravvivere al di fuori di casa mia.
E anche oggi non posso dire di essere cambiata più di tanto. Ho vissuto tutti questi anni all’insegna della speranza, andando avanti con la sola forza dei miei desideri e di quell’adolescenza carica di promesse che ancora vivevo.

Si dice che vent’anni sia l’età più bella.

Io non credo sia proprio così. Vent’anni è quel giorno in cui dovendo scrivere la tua età anteponi alla seconda cifra il nuovo numero del due, anziché la solita e rassicurante unità. È quel giorno in cui metti definitivamente da parte gli atteggiamenti immaturi, le fantasie, le perdite di tempo, perché il periodo dei giochi è finito, e questa volta per davvero.
Mi piacerebbe andare da tutte le ragazzine che già si sentono donne, solo perché dalle loro ciglia cola del mascara e dai bordi dei loro occhi una linea interrotta e mal applicata di matita nera.

Dire loro che a quattordici anni c’è tanto desiderio di crescere; poi si cresce veramente e resta solo il desiderio.

Di tutte quelle cose che avresti voluto fare e che invece sono rimaste lì, insepolte in mezzo a una marea di ricordi un po’ sfumati e di idee non terminate, in attesa di essere dimenticati per sempre, forse, o magari di essere ricercati, per provare di nuovo a realizzarli, anche se con un po’ di ritardo.
Ma tu non eri così, non eri come me. Potrei compararti ad un trattino basso, quello che si trova in basso a destra nella tastiera, così deciso e perfetto da essere compatibile con tutte le lettere e tutti i numeri. E io chi sono, mi chiederai. Io sono tanti puntini sospensivi, non solo tre, com’è abitudine impostare, ma tanti di più, uno per ogni vita che ho provato a vivere, per ogni persona che ho provato ad essere.

Non è facile avere vent’anni, credo.

La gente ti riempie di domande su quello che stai facendo e quello che vorrai fare, e una sola risposta non gli basta mai, perché tutti credono che tu abbia un baule intero di strade da intraprendere e di sogni da mutare in realtà.
Per gli amici si è ancora troppo giovani, ci sono sempre occasioni di mondano divertimento cui è impossibile sottrarsi, perché se non ti diverti a vent’anni, quand’è che lo farai? Bagni a mezzanotte, levate all’alba, serate in discoteca passate a ballare fino a consumarsi le scarpe, un drink per muoversi un po’ meglio, raccontare tutta la tua vita a persone conosciute nei locali che probabilmente non rivedrai mai più.

Una giornata chiusa in camera sorseggiando the e camomilla per smaltire la serata un po’ troppo alcolica, messaggi sui social network, video condivisi, foto scattate nei momenti più improbabili apposta per riderci su.

Fingere di studiare sfogliando distrattamente le pagine, perché con la testa magari si è da un’altra parte, scrivendo nomi su fogli di carta e disegnando cuoricini sui quaderni. Sobbalzare ogni volta che il telefono squilla, e tingersi le guance di imbarazzo quando a chiamare è la persona giusta, alternando mormorii imbarazzati e farfugliamenti confusi.

Perché sì, vent’anni è anche questo, credo, e tanto altro.

Arrivare all’università trafelata e ovviamente in ritardo, entrare a passo felpato, sperando di non dare troppo nell’occhio, ma la porta cigolerà, come sempre, così tutti si gireranno a guardarti, con i tuoi sei libri che tenti di non farti cadere dalle braccia, un mollettone tra i capelli che hai dimenticato di togliere, la sciarpa che hai messo di fretta e che è più lungo il tuo corpo che sulle spalle. Sorridere imbarazzata mormorando un “ Mi scusi ”, poi sedersi, lasciarsi andare a una risata con una compagna di corso.

A vent’anni c’è l’energia per fare tutto, si dice, e la voglia di provare qualunque cosa. Esperienze nuove, estreme, pericolose, tutto è una continua sfida contro le regole, contro la vita, e anche contro la morte.

A vent’anni ti senti il centro del mondo e sei sempre perfetta, qualunque cosa tu faccia. È quel momento in cui finalmente nulla ti è vietato, perché sei abbastanza grande da poter badare a te stessa e abbastanza giovane per avere ancora il diritto di commettere i tuoi errori. È il momento in cui le persone all’improvviso diventano empatiche con te, è quel momento che tutta la tua famiglia ha sempre aspettato con ansia, perché non ne poteva più di ascoltare le paranoie che ti facevi durante l’adolescenza.
Mi piacerebbe sapere se al mondo ci sono altri ventenni come me.
Che ancora credono di poter realizzare quell’antico sogno dell’adolescenza, venuto in mente chissà come e chissà quando, che si ostinano a volerci credere, sebbene forse sarebbe il caso di lasciar perdere le fantasie, e di concentrarsi sulla realtà.

Realtà. Questa parola mi ha sempre spaventato.

Forse perché nella mia vita non c’è quasi niente di reale, ma solo montagne di sogni e fantasie, accumulati uno sull’altra in una soffice nuvola rosa. Forse il mio è solo un altro modo di vivere questa gioventù, non credi? Forse c’è ancora tempo per costruire le cose solide e vere, forse riuscire a sognare ancora è un dono, invece che una condanna. Io non lo so, come gran parte di quello che mi interessa, d’altronde. Penso che il concetto del sapere sia molto relativo, non credi?
La gente crede sempre di sapere che cosa bisogna fare, e quando non lo sa si spaventa, al punto che inizia a ricercare ovunque una spiegazione logica, che possa risolvere razionalmente le situazioni.

Io non sono d’accordo con questo. Penso che con la linearità e il raziocinio non si ottenga altro che numeri, calcoli e equivalenze, o decisioni pesate sulla bilancia. A me non piacciono i numeri, trovo che siano freddi e privi di identità, interscambiabili tra di loro senza che possano mai essere di nessuno.

Da quando ho deciso di voler diventare una scrittrice la mia vita si è trasformata in un’epica sfida con me stessa, alla ricerca di quelle parole così vicine da riuscire a sentirle, eppure non abbastanza da poterle raggiungere. Ho continuato in tutti questi anni a costruire una storia che spero un giorno di riuscire a raccontare, una storia che forse parlerà di me, del mio sogno di diventare una scrittrice, di quella scintilla di speranza che è nata nel mio cuore, delle ore passate davanti a un foglio di carta con la penna in mano, sperando che prima o poi quelle parole che riempivano il mio cuore di dolcezza sarebbero venute allo scoperto.

I miei più grandi nemici sono il silenzio, il foglio bianco, il vuoto, che sono anche i miei demoni, e a volte i miei padroni.

La mia non è una vita di vittorie, né di rivincite o di soddisfazione. E i miei obiettivi non sono finire l’università, trovare l’amore o cambiare il mondo. Non ho pretese, né voglio diventare qualcuno, e se mi sento osservata, metto gli occhiali da sole e mi butto i capelli in avanti. Non sono quel genere di figlia che renderebbe orgogliosi i suoi genitori, né quell’amica che chiunque vorrebbe avere, né credo che potrei mai essere il grande amore di qualcuno .

La mia è la vita di chi si sveglia presto, apre gli occhi un po’ titubante, provando a ricordare il bel sogno che ha interrotto, e magari lo continua anche, fantasticandoci su. Di chi entra in un bar e ordina il caffè latte freddo, sebbene fuori l’inverno stia ricoprendo la città di ghiacciati fiocchi di neve, e lo sorseggia piano rimanendo al bancone .

Di chi non si ferma a guardarsi negli specchietti delle macchine quando ci passa vicino, di chi uscirebbe di casa lasciando il trucco a metà, perché con la testa è sempre da un’altra parte. Di chi mentre cammina, per strada, non si ferma a osservare le vetrine, ma inizia a cercare il punto più lontano e meno visibile ai suoi occhi, perché sa che anche in quello c’è un’incredibile storia da raccontare – e forse da vivere -.

In tutti questi anni non ho imparato granché, tuttavia di questo sono sicura: se c’è qualcosa di certo nella vita, è proprio l’incertezza.

Quando si è giovani si hanno centinaia di straordinarie idee che non si vede l’ora di concretizzare, perché si crede che basti volerlo, per trasformare in realtà ogni desiderio. Quando si è giovani non si fanno i conti con le barriere, l’impossibilità, quella serie di eventi che sembra mandata apposta per ostacolarti, e di cui non puoi incolpare altri che le stelle. E, parlando di astrologia, ti dico che nella mia camera c’è un grosso dipinto che ritrae un cielo scuro, ma pieno di stelle. Quando torno a casa la sera, dopo una passeggiata, una corsetta, o anche semplicemente dopo aver respirato l’odore dei fiori in primavera, mi sfilo le scarpe, mi sdraio sul letto e inizio a guardarlo.

Penso che per ogni persona che nasca, una nuova stella sorga nel cielo, per poi scomparire insieme a lei, quando sarà arrivato il suo momento.

So che sembra assurdo, però se ci fai caso, le stelle non sono mai nella stessa posizione, e ogni tanto alcune sono più luminose di altre. Forse questo succede quando le persone cui sono associate fanno qualcosa di molto speciale, o realizzano il loro più grande sogno. Se dovesse essere davvero così, allora penso anche di aver individuato la tua. È quella a sinistra, vicino alla punta del palazzo di fronte al mio, quella che so di vedere con certezza solo quando la ammiro dalla finestra della mia camera. E so che è la tua perché vicino ce n’è un’altra, molto meno brillante, e infinitamente più piccola. Quella sono io, se il mio ragionamento ha un senso.

Si dice che la vita sia una grande ruota che gira, come la fortuna, la felicità, anche la tristezza.

E magari a furia di provare, e sbagliare, cadere, rialzarmi, pur sapendo che cadrò di nuovo, pur sapendo che tutto questo probabilmente non servirà a niente, forse proprio per questo, un giorno la vita mi sorprenderà. E quello sarà il giorno in cui alzandomi la mattina, per la prima volta, sentirò un fiume di parole scorrermi dentro, e non vedrò l’ora di prendere uno dei tanti quaderni che in questi anni ho custodito con cura nell’armadio, tra i vestiti di lana. Prenderlo in mano, sfogliarne qualche pagina, sentire il familiare odore della carta appena stampata, tirare fuori una penna e iniziare a calcarne la righe con veemenza.

So che quel giorno arriverà anche per me, anche se per ora, quando guardo fuori dalla finestra, mi sento sopraffare da una serie di emozioni straordinarie che tuttavia non riesco a riconoscere.

Non sono mai riuscita a distinguere le cose, né le persone, e a volte quando parlo con qualcuno, sento uscire dalla mia bocca parole che in realtà sono l’esatto opposto di quello che vorrei dire. Ed è stato anche per questo che alcuni anni fa guardai quel foglio protocollo immacolato sotto una nuova luce, vedendolo non più come un nemico, ma come un alleato, mentre sentivo di nuovo quel blocco alla gola che mi aveva sempre impedito di esprimere ciò che sentivo. Trovo che parlare sia estremamente difficile; le parole si ingarbugliano tra di loro, i grandi dizionari ne riportano decine di migliaia, eppure quando si tratta di esprimere quello che senti, è come se sparissero tutte insieme.

Quel giorno pensai che attraverso la scrittura avrei potuto scavalcare il muro della mia apatia, il bianco silenzio che da anni si frapponeva tra me e il resto del mondo.

Penso che per ogni artista arrivi un momento in cui tutto quello che negli anni ha accumulato all’improvviso esca fuori con un’esplosione. E quando quell’esplosione arriverà anche per me, io sarò pronta. Tutti i milioni di parole che ho creato e poi lasciato in gestazione in un guscio d’uovo, quel giorno verranno da me, a chiedermi la giustizia che meritano. So che quel giorno arriverà. E allora io non sarò più un puntino triste e vuoto in un cielo luminoso. Forse anche la mia stella un giorno sarà protettrice di qualcuno, magari qualcuno come me, un’altra piccola scrittrice senza penna.

Probabilmente queste non sembrano le considerazioni di una ragazza che vive la propria forzata gioventù; penso che sia perché ogni parola o azione di chi ha la nostra età reca sempre lo stesso titolo: “ ho vent’anni e ho voglia di vivere ” .

Non credere che io non ce l’abbia; solo che è un po’ diversa da quella degli altri . Quelli per cui i giorni sono sempre troppo corti, che vorrebbero avere il tempo per vedere il mondo intero in una sola giornata, per poi rientrare a casa. Io ho solo voglia di continuare a vivere i miei sogni dolci e ovattati, di svegliarmi in piena notte con una canzone in testa e ascoltarla fino a che non mi addormenterò di nuovo. Non pretendo di capire tutto, di vivere una vita perfetta o di essere ammirata dalle altre persone. Mi basta solo fare quello che mi piace, anche se non è molto, anche se la maggior parte delle volte semplicemente non ci riesco .

Forse la mia non sarà una bella storia, però non sarà nemmeno una storia triste.

Perché so che malgrado tutto, malgrado quella pila di quaderni nuovi e pagine pulite, malgrado quel foglio bianco contro cui combatto da anni, non ho mai e poi mai smesso di crederci.

Quando le persone mi chiedono che cosa studio o che cosa voglio diventare, io rispondo:
–La scrittrice-.

E quando mi chiedono cos’è che mi ha fatto scoprire questa passione, dico:
–Sapere che non sei mai dove ti vedi-.