L’orologio della Torre

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Città d.R. è un paesino grazioso, ordinato e ospitale.

La vita a Città d.R. procede tranquilla senza mai un grave inconveniente.

Pardon, quasi mai.

Fino a pochi anni fa, non erano queste le sole caratteristiche vantate con orgoglio dai suoi abitanti. Già, perché pur non potendo contare su particolari vestigia storiche, i cittadini di C.d.R. andavano fieri del loro grande orologio. Quello della torre. La torre degli Abeli (dal nome della famiglia che l’aveva fatta innalzare agli inizi dell’ottocento per celebrare una vittoria commerciale su una famiglia rivale).

L’orologio della torre non era antico né dotato di un meccanismo che lo rendesse particolarmente preciso e, a dirla tutta, non si proponeva neppure per spiccate virtù estetiche.

Eppure per lungo tempo conobbe l’affetto del suo popolo, tanto che nel 1975 quando le sue ruote dentate s’incepparono, permettendogli (cosa per lui davvero rara) di segnare il tempo con precisione millesimale per almeno due volte al giorno, tutti a Città d.R. si adoperarono per rimetterlo al più presto in sesto.

In particolare in paese c’era un uomo che con l’orologio aveva un legame che non esiterei a definire molto particolare: Lorenzo D.C. detto comunemente Lorenzaccio. Classe 1930, Lorenzaccio, era nato esattamente quando l’orologio, appena incastonato sulla torre, batteva i suoi primi rintocchi. Il suo primo vagito…il primo rintocco.

Lorenzaccio, fabbro per mestiere e compagno di bevute per vocazione, si compiaceva di questa coincidenza che, occorre dirlo, gli aveva garantito fin da piccino, un singolare rispetto da parte di tutta la comunità. Infatti, Lorenzo era per tutti, il fratello dell’orologio. Il fratello gemello.

Così, sul finire degli anni ’50 Lorenzaccio aveva ottenuto dal Sindaco e per volere dei suoi concittadini, una carica davvero prestigiosa istituita apposta per lui: Gran Capitano dell’Orologio della Torre.

Ad egli spettava l’onore e l’onere, di sovrintenderne l’ordinaria manutenzione, nonché garantirne una sebbene approssimativa precisione.

E Lorenzaccio, almeno tre volte all’anno con tanto di divisa d’ordinanza realizzata per l’occasione (era pur sempre un Gran Capitano) e armato di tutto punto, saliva i 117 gradini interni della Torre, apriva la porticina di legno e si introduceva nella piccola stanza, là dove, batteva il cuore di…suo fratello.

Lì, con un po’ di emozione e tanta fierezza, ingrassava i complicati ingranaggi, oliava le due grandi ruote dentate e con destrezza si introduceva dentro le strette feritoie che gli permettevano l’accesso ai predellini del bianco quadrante da dove poteva lustrare le bronzee lance che segnavano il tempo.

I suoi aiutanti di campo, detti gli Alabardieri del Gran Capitano, persone degne della nostra massima fiducia trattandosi del farmacista e del segretario comunale, giurano che in quelle occasioni, Lorenzaccio, parlasse con l’orologio. Confidasse ad esso gli aspetti più intimi della propria esistenza.

Non crediate che il buon Lorenzo fosse lui stesso un poco da “registrare ” proprio come le lance dell’orologio. Tutti noi abbiamo i nostri riti, magari meno maniacali o forse solo meno conosciuti, come invece lo erano quelli di Lorenzaccio.

Così concediamogli con benevolenza anche un altro vezzo, quello di passare ogni mattina sotto la torre, alzare gli occhi verso l’orologio, inchinarsi in segno di ossequio per augurargli (e augurarsi) una buona giornata.

Lo faceva quando proprio sotto la torre alle 7,30 in punto. Aspettava la fermata del tram (l’unico nella cittadina) che lo conduceva al posto di lavoro. Lo aveva continuato a fare anche una volta in pensione quando in nessun caso Lorenzo D.C. si era concesso il ” lusso ” di saltare il quotidiano ben augurante appuntamento delle 7,30 col fratello segna ore. .

La torre che ospitava l’orologio è alta circa 25 metri ed il diametro dell’orologio, posto a circa i 2/3 della sua altezza, era di circa 2 metri così che la lancia dei minuti che copriva interamente 12 volte in un’ora i numeri romani, misurava almeno 1 metro di lunghezza.

E’ allarmante sapere che una lancia di bronzo di tale lunghezza possa cadere perpendicolarmente al suolo da un altezza di circa 15 metri.

E’ spaventoso prendere atto che ciò avvenne… La lancia cadde quando stava segnando la fine della prima mezz’ora dopo le sette antimeridiane.

E’ addirittura penoso riflettere sull’abitudinarietà del buon Lorenzo… che infatti, come tutte le mattine a quell’ora, con le spalle alla piazza e la testa all’insù, con tanto di inchino augurava una buona giornata a suo fratello.

L’orologio non fu riparato in segno di rispetto per il compianto cittadino, il caro, carissimo… Lorenzo Di Caino. Con un po’ di cinismo si potrebbe parlare di una rivincita di Abele su Caino perché, si sa, la vendetta è un piatto freddo.