Babele

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Babele


Dopo i chilometri camminati, disperatamente e senza capire. Nel deserto. Grandi distanze illividivano intimamente anche il senso dei concetti incamerati nei cervelli. La spiaggia no.

Siamo solo ricettori di tutti i messaggi. Chi si giustificava ragionando tra ciò che sembra e ciò che incombe, tra la conturbante canicola e il digiuno aggressivo, sceglieva di aggredire il suo incubo. Anno 15590. Popolazione Terra: 402 miliardi. Era evidente che non c’erano più automobili, né autostrade; era evidente che la tragedia era già degenerata in tutti i sensi.

L’aria non estingueva la forte voglia di ossigeno, dei vivi.

All’improvviso, basiti. Sembrava l’effetto di un buffo fuoco allungato dalla base a un’altra parte che sembrava tenebra, che avanzava sbandando accidentalmente come su una grondaia, annerita, mentre l’accaloramento delle vene nei polsi metteva in ginocchio. Erano i raggi ultravioletti. Incontrastati.

Il raggio del sole cambiava la sensazione di debolezza, in una diffusa sensazione di abbandono. Agghiacciante ritrovare di bocca in bocca più boccheggiante dell’altra, per il caldo asfissiante, una rabbia figlia dell’accanimento contro tutto e tutti.

Ciò che era dichiarato, anche se si continuava dichiararlo, sempre, non rendeva l’idea delle navi immense che beccheggiavano, come in mezzo ai porti ma nelle città, e di chi si inchiodava come una freccia lontano dalle radiazioni, che fendevano il cielo infranto dal sole, per l’ozono finito; non si poteva capire quanta era la paura.

Sulle torri in mezzo al deserto era un aggirarsi e un affluire, seppure la coibentazione era eccellente tra i conglomerati industriali ragguardevoli, e il cadere di persone accidentale poteva creare un rumore pur basso, ma difforme all’interno di impianti industriali; e non sarebbero forse sfuggiti ai brancolanti esseri semi-vivi alla base in basso delle mastodontiche Torri.

Avevano sentito? Sì.

Il rischio giustificava la terribile bestialità od ossessione. Nelle Torri si stava male. Appiccarono il fuoco. Mentre le carcasse delle auto arrugginite da secoli affondavano tra le fiamme, l’incombere della morte accecava e coglieva impreparato qualsiasi ragionamento, e qualsiasi persona cominciasse un ragionamento a mente o a voce alta. Cadevano tutti i dubbi sulla ragionevolezza e la dovuta umanità restanti. Incombeva il fuoco, spinto in avanti da un drammatico fiume di vento. Cadevano i dannati.

La corsa a volte si arrestava bruscamente, e la marea umana cedeva e andava in terra. Solo alcuni dallo stupore. La diaspora avanzava rabbiosa, e barbara. Abbagliante risultò agli occhi della calca il pavimento giallo e arancione, che si vedeva subito caldo dove delle ombre entravano in una Torre.”Nascondiamoci dietro i fuochi”, urlò Andrew. La fantascientifica imponente costruzione sul deserto, era trabocchevole di gioia insana. Cadevano come mosche se non schivavano i proiettili fradici di paura; chiare ombre difendevano il complesso davanti al riverbero dei fuochi.

Restavano in piedi anche se trafitti da più proiettili, aveva ceduto il grande inganno, e gli individui doloranti e disperati non avevano più nulla da perdere. Si generava un inaspettato ardore tra i dannati, moltiplicato dal calore e dalla febbre a contatto con la ventilazione benefica prodotta dai condizionatori delle Torri. Qualcuno svenne. Abbandonare ogni disperazione fu automatico e forse deleterio. I soldati ora si erano gettati in avanti, disperatamente come drogati, furoreggiando tra urla e risate. Ma i disperati rifiutarono di arrendersi. Era scaduto il tempo della rassegnazione. Per alcuni fu infarto.


Babele

Articolo di Andrea Piroddi