Natale in casa Cupiello secondo Latella

Un Natale in casa Cupiello come non si era mai visto.

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Natale in casa Cupiello secondo Latella. Straniamento, è questa la prima sensazione che si prova quando il sipario si apre sull’ultima discutibile regia di Antonio Latella; un Natale in casa Cupiello come non si era mai visto.

Antonio Latella, Premio Ubu 2001, Premio Gassman 2004 e direttore a poco più di trent’anni della scuola di perfezionamento teatrale più famosa al mondo quale è l’École des Maîtres, diretta in passato finanche da Grotowsky e Fo, inscena la più famosa e significativa opera di Eduardo De Filippo dove il testocentrismo del primo Artaud e lo scenocentrismo grotowskyano si fondano, dividendo il palco con tanti altri elementi carichi di simbologia e riferimenti citazionistici che arrivano fino alla produzione operistica del ‘600/‘700, come dichiarato dal regista stesso “ Se dovessi citare un compositore per descrivere tutti e tre gli atti direi Monteverdi, perché rappresenta le prime forme di teatro musicale, con i primi recitativi”.

Il sipario si apre sull’intero gruppo di attori posti di spalle, fatta eccezione per il protagonista Luca Cupiello, che avanza con difficoltà sorretto da un bastone mentre tutti gli altri avanzano camminando all’indietro.

Dall’alto cala l’unico elemento scenografico che sarà presente  più o meno per tutto il primo atto e anche in altre scene successive; una enorme stella cometa che ricopre in larghezza l’intero palcoscenico. Il testocentrismo si fa subito presente in quanto Luca Cupiello non comincia a recitare la sua parte ma la didascalia che la precede e sarà così per tutta la durata della rappresentazione. Il testo originale è declamato senza modifiche o tagli, eccetto per un particolare: le didascalie a volte sono recitate da tutti gli attori (tranne Francesco Manetti, interprete di Luca, intento a mimare una sorta di scrittura) all’unisono come se pregassero, ma in altri casi vengono in un certo senso “riadattate”, eliminando la terza persona e declamate dall’attore preso in causa  da quest’ultime in prima persona.

Come s’è detto all’inizio gli attori, eccetto il protagonista sono di spalle, ma appena si volteranno  si scoprirà che sono tutti bendati. Sempre Antonio Latella ha dichiarato “Immagino la costruzione di questo Presepe come quella di un testo: ogni statuina ha un colore, un simbolo, un archetipo, quindi viene associato ad alcune parole e non ad altre […]. Nel primo atto non abbiamo ancora il Presepe, ma statuine che puzzano di naftalina, avvolte nella carta di giornale, addormentate; per questo hanno gli occhi coperti […].”

Quel che dunque il regista sta tentando di formare è una sorta di Presepe, una famiglia perfetta adorata da tutti. Insomma, sta tentando di materializzare il sogno che ha sempre inseguito lo stesso Luca Cupiello, desideroso di riunire la sua famiglia intorno ad un unico focolare dove tutti sono felici e sereni, ma la cosa gli è ostica quanto la pronunzia delle sole parole “ci riuniamo”, che lo costringe irrimediabilmente a trovare dei sinonimi.

Se il primo atto di Natale in casa Cupiello secondo Latella si incentra sull’immobilità, la quasi totale mancanza di interpretazione e la simbologia limitata, nel secondo atto tutto cambia.

Le scene sul palco si fanno sempre più movimentate, aprendo il sipario su Concetta, moglie di Luca e probabilmente vero pilastro della famiglia, cosa che è evidenziata dal suo trascinare una teca di vetro e metallo posta su una carrozza, al cui interno vi è lo stesso protagonista ancora intento a mimare una scrittura , e sulla quale al posto del cocchiere troviamo l’impiccioso Raffaele, il portiere. Tutti gli altri personaggi entreranno in seguito in scena ognuno con un enorme pupazzo a forma di animali diversi  in spalla “In Natale in casa Cupiello gli attori sono come dei pastori, rappresentanti di una natura morta: solo dal momento in cui gli animali si possono staccare dai corpi per diventare vivi possono costruire la storia e la storia che ciascuno racconta non è limitata al rapporto simbolico con l’animale.”

L’atto si farà sempre più funambolesco dalle vicissitudini fra Tommasino (figlio di Luca e Concetta) e Pasqualino (fratello di luca) fino ad arrivare alla simulazione di un rapporto sessuale/stupro fra Ninuccia (primogenita di Luca e Concetta) e suo marito Nicola, che nel terzo e ultimo atto sarà “protagonista assente”, in quanto invocato più volte da Luca moribondo nel suo letto, che nella versione di Latella è diventato una mangiatoia. Il Presepe  si è finalmente materializzato ma se non fosse per i “Pastori” intorno al “bambinello”, avrebbe più l’aspetto di una Pietà michelangiolesca oppure di un Compianto sul Cristo morto mantegnano.

Il Gesù bambino nella mangiatoia non è appena nato ma è prossimo alla morte, e quella che dovrebbe rappresentare sua moglie è parata da dama ottocentesca come il resto degli attori, che ad un certo punto, invece di recitare cominciano a cantare.

C’è chi l’ha definita una scena da requiem, ma appunto di requiem c’è solo la costumistica e la situazione generale, perché il risuonare nella sala di alcuni accordi di clavicembalo, dà la sensazione che si stia assistendo ad un recitativo secco o ad un arioso di qualche opera Monteverdiana appunto, oppure perché no, anche Mozartiana, per rimanere in tema Requiem. Luca, dopo aver raccontato il famoso “fatto dei fagioli”, si adagia sulla paglia e comincia a respirare a fatica. Prima che Tommasino lo accompagnerà verso la morte pressandogli un cuscino sul volto, dopo svariate risposte negative  alla domanda  “Te piace o’ Presepio ?”, finalmente risponderà con un secco “Si!”.

Non sapremo mai se quella risposta fu pronunciata per pietà nei confronti del padre moribondo, ma una cosa è certa: una volta che il Presepe è finalmente pronto, una volta che l’illusione, il sogno di Luca si è materializzato, lui ormai non c’è più. 


Natale in casa Cupiello secondo Latella