Un altro presepio 

Rev. Parroco,

Ieri ho sostato a lungo con i bambini davanti al magnifico presepio settecentesco allestito in parrocchia. Incantata come sempre nell’ammirare quel maestoso paesaggio in sughero fatto di colline e misteriosi anfratti illuminati da tenui luci colorate, mi sono soffermata a guardare ad uno ad uno i personaggi scolpiti in legno e rivestiti di preziosi abiti antichi, figure dagli occhi che sembrano vivi e dai visi attoniti, stupiti, rivolti verso la grotta della natività ed altri dallo sguardo più offuscato, rimasti legati alla loro quotidianità: osti, commensali, fruttivendoli, pescivendoli, bottai… Un’umanità avvolta nel silenzio rotto solo dallo scrosciare dell’acqua di un ruscello. Lontano, in alto, quasi in disparte, la grotta dove si è verificato l’evento che ha cambiato il corso della storia, con la greppia ancora vuota in attesa della deposizione del Bambinello.

I bambini, anch’essi incantati, già dagli anni precedenti si erano divertiti a dare un nome a quei personaggi, a comporre dei nuclei familiari. Quest’anno hanno cercato di ricordarli, di riconoscerli. Il presepio, per loro, è diventato un bel gioco.

Avrei voluto partecipare come sempre alla Messa di Natale di mezzanotte. Invece, dopo cena, messi a letto i bambini, mi sono adagiata vestita sul letto aspettando che il tempo passasse, ma mi sono addormentata ed ho fatto uno strano sogno che sento il bisogno di raccontarle.

Ho sognato di essere in chiesa, da sola, seduta davanti al presepio a bearmi del suo incanto. Ad un tratto, le porte della chiesa si sono spalancate ed una moltitudine di persone lente e silenziose ha cominciato ad avanzare lungo la navata dirigendosi verso la cappella del presepio.

In testa c’erano degli uomini con degli striscioni su cui erano scritti degli slogan che rivendicavano il diritto al lavoro. Avanzavano stranamente in silenzio, con il viso triste e si portavano dietro donne e bambini.

Subito dopo, venivano uomini e donne dagli abiti sporchi con bottiglie di vino e birra sporgenti dalle tasche di lunghi cappotti e con in mano buste di plastica piene di stracci. Ho riconosciuto tra loro Natascia, l’ucraina dal volto tumefatto dalle botte del suo compagno e Lukas dalla gamba amputata in seguito ad un investimento mentre attraversava la strada ubriaco, e tutti gli altri “barboni” che dormono sotto i portici del centro storico.

Seguivano dei rom con una folta schiera di bellissimi bambini bruni che trasportavano le loro masserizie dopo essere stati appena sgombrati da baracche fatiscenti. Alcuni zoppicavano vistosamente.

Poi c’erano tante persone di colore. Alcune erano avvolte in coperte termiche dorate, quelle offerte dai soccorritori ai naufraghi salvati in mare. Ho riconosciuto Mohamed e Youssef, mendicanti alla porta del supermercato e Fatima con il suo bambino sulle spalle, venditrice di spugnette e accendini lungo il marciapiedi della metropolitana.

Altre persone dalla pelle più chiara, avanzavano reggendosi su stampelle improvvisate perché le loro gambe erano state spappolate dalle mine, laggiù nell’Oriente senza pace.

Dietro di loro, barcollando, avanzavano dei giovani smagriti e dallo sguardo spento con le braccia nude segnate dai lividi delle iniezioni di eroina.

Accompagnavano tutta questa umanità dolorante, dei volontari di ogni età e razza, dallo sguardo buono e dalle braccia accoglienti.

Chiudevano la lunga fila, giovani con tatuaggi e piercing, ragazze in minigonna, uomini in giacca e cravatta e donne impellicciate.

Quando giunsero davanti al presepio, si disposero in semicerchio a contemplarlo. Allora successe una cosa strana: tutti i personaggi del presepio, si animarono, crebbero, assunsero una statura normale e, apertosi un varco tra la folla dei nuovi arrivati, scivolarono via verso la porta della chiesa dove svanirono come risucchiati nell’aria.

I nuovi arrivati, invece, divennero piccoli e si collocarono tutti nel presepio. I più malandati, sostenuti dai volontari, assunsero uno sguardo stupito e ricolmo di speranza che rivolsero alla grotta. Gli altri, quelli ben vestiti, presero il posto dei mercanti indifferenti.

D’improvviso erano diventati come pietrificati. Ma qualcosa si mosse a quel punto nella grotta. Maria sollevò il Bambino e questi allargò le braccia in segno di accoglienza.

Il suono delle campane di mezzanotte mi svegliò e il sogno svanì. Era tardi per recarmi a Messa, ma avevo molti spunti su cui meditare per celebrare il mio Natale. Un Natale diverso!

Ecco, ho voluto raccontarlo anche a Lei. E chissà se l’anno prossimo… Ci pensi, per favore!n