Parlare del proprio dolore per aiutare

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Parlare del proprio dolore per aiutare


Per molto tempo sono stata vittima di violenza domestica.

Più precisamente fino ai miei quindici anni, quando poi sono riuscita, assieme a mia madre, a fuggire dall’incubo che stavamo vivendo.

Non è semplice parlare di argomenti così forti e personali ma la mia scelta di farlo – soprattutto attraverso i social che sono un eccezionale veicolo di messaggi – nasce da uno scopo ben preciso: aiutare!

Quando ero piccina ho vacillato difronte alla pressione fisica e psicologica che mi veniva inflitta; sono arrivata a pensare che, se subivo determinati trattamenti, forse me lo meritavo, magari avevo fatto qualcosa di male, ero una bimba cattiva.

Crescendo ho subito compreso che non ero inadeguata e che la violenza non si merita e non va giustificata, neppure se proviene da chi nelle vene ha il nostro stesso sangue.

Quando si subisce violenza ci sono due sentieri da poter percorrere: quello spianato della vittima che si piange addosso, che si annulla e quello tortuoso da percorrere umilmente a piedi nudi, per portare la propria testimonianza come aiuto agli altri.

Io ho scelto il secondo sentiero e, anche se ogni giorno i miei piedi sanguinano, il mio cuore è pieno di gioia. Sapendo che, attraverso la mia testimonianza di resilienza, è arrivata speranza anche solo ad una donna e che le persone si sono sentite meno sole nel loro dolore, ho la conferma che da tutta la sofferenza che ho passato è scaturito del bene.

Non è il silenzio che aiuta.

Non è chinare il capo che cambierà le cose.

Non è l’autodistruzione la scelta giusta, anche se apparentemente la più facile.

Parlatene sempre, combattete sempre, aiutate sempre. Perché il dolore può insegnarci ad amare di più la vita e a metterci a servizio degli altri con coraggio e voglia di sorridere ancora.

Certo, il percorso per raggiungere questa consapevolezza non è poi tanto spianato.

Innanzitutto uno scoglio importante da superare è quello dell’ammettere che si sta vivendo una situazione che non è normale e che non è giusta. Se in casa si ha un uomo (o una donna) che alza su di te le mani e che psicologicamente tenta di fare tabula rasa, non è giusto che sia così. Bisogna riconoscere il marcio e sfuggirne.

Poi bisogna tenere conto anche sul fatto che non tutti saranno disposti, purtroppo, a tendere una mano.

Per mia esperienza personale posso dire che, quando ho iniziato a parlare di ciò che per anni avevo subito, non sono stata affatto aiutata o compresa, specialmente dalle persone che reputavo più vicine.

Ma, ad oggi, ammetto che le cose sono notevolmente cambiate perciò tempo al tempo.

Altro muro da scalare è quello del giudizio di chi non comprenderà perché vi esponete così tanto su una tematica simile. Questo perché, soprattutto per chi non ha mai vissuto in prima persone la violenza domestica, è più facile concentrarsi sull’apparenza e sulla bella quanto effimera facciata.

Credo invece che, se si trova il coraggio di spendersi per convertire il proprio dolore in qualcosa di buono, tutti questi scogli siano solo sassolini che non devono scalfire il vostro spirito.

In tempi come questi, dove odio e violenza dilagano e in cui gli strumenti a disposizione di tanti vengono usati per seminare discordia e contenuti privi di moralità, c’è bisogno di persone coraggiose.

Armatevi sempre del vostro sorriso migliore, mettetevi sulle spalle il vostro pesante bagaglio di violenza e portate voi stessi nel mondo come esempio di tenacia e riscatto. E, se credete di essere soli, sappiate che non è così perché, aldilà alla vostra paura, c’è un’infinità di persone che ha bisogno di sentirsi capita da chi davvero lo può fare per esperienza vissuta.

Spero che la mia testimonianza possa essere di sostegno a tutte quelle donne che piangono e soffrono, che sperano nel miracolo di un cambiamento che non troveranno mai nel loro carnefice ma piuttosto in loro stesse. Mi auguro che tutto l’amore che ho per la vita, nonostante gli anni di violenza, possa raggiungere chi magari si sente sfiduciato e vede il mondo con le lenti oscurate. Se ce l’ho fatta io, con ciò che ho passato, credetemi quando vi dico che anche voi potete farcela.


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